Suor Leonella nel segno del perdono

Suor Leonella nel segno del perdono

Uccisa a Mogadiscio nel 2006, suor Leonella Sgorbati, missionaria della Consolata, verrà beatificata a maggio in Italia. Dai suoi diari emerge l’adesione totale a Gesù eucaristico, fino al dono della vita

 

«La missione Somalia è ciò che tu mi chiedi ora. Ti dono la mia vita in tutto e per tutto come tu desideri… mi chiami ad amare te, ad amare le sorelle, ad amare la gente, i fratelli dell’islam… Possiedimi signore e ama in me… che io sia una cosa sola in te e tu possa donare la gioia di sentirsi amati da te. Mi ritorna tra le mani la frase di “più forti dell’odio”… il martirio non può essere visto come una impresa eroica, come un gesto di persone valorose ma come il naturale evolversi di una vita donata».

Suor Leonella Sgorbati scriveva queste parole sul suo diario il 27 febbraio 2006. Sette mesi dopo, il 17 settembre, sarà assassinata da due sicari davanti all’ospedale pediatrico SOS-Kinderdorf di Mogadiscio. Lo scorso novembre Papa Francesco l’ha dichiarata martire della fede e la sua beatificazione avverrà nel mese di maggio in Italia. Non ha fatto miracoli, suor Leonella. Il suo martirio, come ha profetizzato lei stessa, è stato «il naturale evolversi di una vita donata», in una terra su cui era già stato versato il sangue del vescovo di Mogadiscio monsignor Salvatore Colombo, eliminato nell’89 con un colpo al cuore nel cortile della cattedrale, di Graziella Fumagalli, medico di Caritas Italiana assassinata a Merca nel ’95, di Annalena Tonelli, missionaria laica che curava gli ammalati di tubercolosi colpita a morte a Borama nel 2003.

Suor Leonella, nel 2006, era una delle ultime quattro religiose cattoliche rimaste in Somalia, insieme ad altre tre consorelle missionarie della Consolata. Ma, prima di arrivare fino alla fine di una vita donata, bisogna partire dall’inizio.

Suor Leonella, al secolo Rosa Sgorbati, nasce nel 1940 a Rezzanello di Gazzola (Piacenza). Nel ’63 entra nelle missionarie della Consolata. È una donna dalla mente brillante e con una memoria di ferro, dal carattere solare ed allegro, sempre pronta a una battuta di spirito: «Il suo sorriso aperto e schietto, la generosità nel servire, l’allegria e l’affabilità che faceva stare bene coloro che le erano vicino» si legge nella biografia redatta dalle sue consorelle. Dopo gli studi in Inghilterra, nel 1970, parte per il Kenya, dove lavora come infermiera, e poi come caposala del reparto di maternità dell’ospedale di Nyeri e di pediatria in quello di Kiambu. Ha a cuore soprattutto la formazione delle infermiere e ostetriche locali. «In scuola a Nkubu eravamo tante, ma ciascuna di noi si sentiva privilegiata per avere un rapporto particolare, molto personale con lei» racconta suor Joan Agnes Njambi Matimu, che la descrive come «una donna energica, coraggiosa e rispettosa: Leonella aveva tanti sogni, però il punto di partenza era sempre la persona. Non si occupava di gruppi grandi, ma dei singoli. Quando insegnava, era attenta ad ogni studente e non andava avanti finché l’argomento non fosse chiaro per tutti».

In Kenya suor Leonella rimane per trent’anni ininterrotti, finché, nel 2001, comincia a fare la spola avanti e indietro dalla Somalia, per verificare la possibilità di creare una scuola infermieristica nell’ospedale pediatrico gestito a Mogadiscio dall’organizzazione non governativa SOS-Kinderdorf, l’unico a offrire cure gratuite. Nel 2002 cominciano i corsi della scuola professionale e i primi allievi si diplomano nel 2006.

La Somalia in quegli anni è pervasa da fortissime tensioni. Dopo 15 anni di anarchia istituzionale, nel 2004 è nato a Nairobi un governo federale di transizione poi “trapiantato” a Mogadiscio. Ma nei primi mesi del 2006 alcuni gruppi integralisti fondano l’Unione delle corti islamiche, con l’obiettivo di conquistare il governo del Paese e di imporre la Shari’a, la legge islamica.

«Noi suore andiamo all’ospedale SOS di fronte al villaggio scortate da ben due guardie – racconta suor Leonella all’amica Maria il 16 settembre del 2005, un anno prima del suo assassinio -. Questo ti dice qualcosa circa la situazione… Qualche anno fa una nostra suora è stata rapita ma poi rilasciata dopo alcuni giorni perché le donne, saputo il luogo dove la tenevano, hanno circondato la casa e mantenuto l’assedio per giorni e notti».

Nel febbraio del 2006 suor Leonella si concede un tempo prolungato e intenso di preghiera, a Castelnuovo Don Bosco, paese natale del beato Giuseppe Allamano, fondatore del suo istituto. In questa occasione vive una forte esperienza di attrazione al mistero eucaristico. Nel diario delle sue meditazioni scrive: «Il mio andare in Somalia è la risposta a una chiamata: tu padre hai tanto amato la Somalia da donare il tuo figlio…e io dico con lui “questo è il mio corpo, questo è il mio sangue donato per la salvezza di tutti”».

S uor leonella era consapevole del pericolo. A un’amica aveva confidato: «Esiste una pallottola con su scritto il mio nome. Solo Dio sa quando questa arriverà». Quel momento arriva il 17 settembre del 2006. Qualche giorno prima, il 12 settembre, Papa Benedetto XVI ha tenuto il noto discorso di Ratisbona citando uno scritto sulla guerra santa dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo. In diversi Paesi a maggioranza musulmana sono scoppiate delle proteste. La tensione è alta anche nella capitale somala sotto il controllo delle corti islamiche, dove lo sceicco Abubukar Hassan Malin esorta addirittura a «dare la caccia» e uccidere il Pontefice.

«Una mattina suor Leonella, che si alzava molto presto per pregare, disse sconvolta alle sorelle che si doveva pregare ed offrire molto per il Papa e per la Chiesa perché aveva sentito dalla radio che il mondo musulmano era in grande agitazione a causa di un discorso del Papa fatto a Ratisbona», raccontano le sue consorelle. Ma non è certo che questo fosse il movente. Già in precedenza, quando il primo gruppo di aspiranti infermieri aveva ricevuto il titolo di studio, alcuni integralisti avevano accusato suor Leonella di fare proselitismo.

Il 17 settembre è domenica, suor Leonella ha terminato la lezione alla scuola infermieri dell’ospedale e sta rientrando al Villaggio SOS dove abita, situato dall’altra parte della strada. Due sicari le sparano alle spalle. Colpiscono lei con sette pallottole e la sua guardia del corpo Mohamed Mahamud Osman, musulmano e papà di quattro figli, che muore nel tentativo di difenderla.

Suor Leonella viene portata ancora viva in sala operatoria. Il personale dell’ospedale dona il sangue per le trasfusioni, ma l’emorragia è troppo grave. Si spegne stringendo la mano della consorella Marzia Feurra e pronunciando per tre volte la parola «perdono».

Quel giorno il Vangelo di Marco 8,35 riportava le parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo la salverà”.

Al suo funerale, celebrato a Nairobi il 21 settembre, il vescovo di Gibuti monsignor Giorgio Bertin ricorderà anche la guardia del corpo Mohammed, con queste parole: «La morte di una italiana e la morte di un somalo. La morte di una europea, la morte di un africano. Una bianca, uno nero. La morte di una cristiana e la morte di un musulmano. La morte di una donna e la morte di un uomo. Questo ci dice che è possibile vivere insieme, se insieme è anche possibile morire. Vivere insieme nella speranza di un mondo migliore».

«Dare consolazione oggi – scriveva suor Leonella in una lettera alle consorelle negli anni in cui era superiora regionale in Kenya – significa accogliere che il Figlio sia libero in ciascuna di noi, in me, libero di perdonare attraverso la mia persona a chi mi reca offesa, libero di amare attraverso di me con l’Amore più grande, l’Amore che va fino alla fine, che è più forte dell’odio e dell’inferno».