Un incontro che segna la vita

«Oggi, quando penso a Papa Francesco, non vedo solo il Pontefice, ma un padre, un uomo di Dio e un uomo libero, capace di sorridere, di ascoltare. E di incoraggiare, anche chi, come me, si sente spesso inadeguato davanti alla grandezza della chiamata ricevuta». Da Tokyo, la testimonianza del vescovo ausiliare Andrea Lembo del Pime
Ci sono incontri che restano impressi nella memoria non solo per la loro eccezionalità, ma per la traccia profonda che lasciano nel cuore. Il mio primo incontro personale con Papa Francesco risale al 2019, durante l’udienza privata concessa a noi capitolari del Pime. Era un momento intenso e carico di significato: qualche mese dopo, infatti, il Santo Padre sarebbe partito per il suo viaggio apostolico in Giappone. Da tempo aveva espresso un desiderio profondo di recarvisi. Ricordo ancora le sue parole: «Desidero tanto questo viaggio». C’era nei suoi occhi una luce particolare, quella di chi sente una missione come vocazione dell’anima, non solo come dovere.
Il viaggio in Giappone, svoltosi nel novembre 2019, portava un titolo che si è impresso nella memoria collettiva: “Protect all life – Proteggere ogni vita”. Un messaggio potente, quasi un grido profetico in un mondo che troppo spesso seleziona, sfrutta e scarta. In quel titolo si condensava tutto il pensiero del Papa: la cura del Creato come casa comune, certo, ma soprattutto la tutela di ogni vita umana, in ogni sua fase, dal concepimento al suo naturale compimento. Non era un’esortazione generica, ma una chiamata personale e comunitaria a riscoprire il valore unico e irripetibile di ogni esistenza.
Durante quei giorni della visita apostolica ebbi la grazia di accompagnare il corpo giornalistico: un’opportunità che mi ha permesso di osservare da vicino Papa Francesco nel suo agire quotidiano. Rimasi colpito dalla sua naturalezza, dalla sincerità con cui si muoveva, dalla libertà interiore che traspariva in ogni gesto. Non recitava un copione, viveva pienamente l’incontro. Ho potuto assistere a momenti di profonda umanità: uno sguardo attento verso un malato, una carezza a un bambino, una parola sussurrata che sembrava toccare il cuore dell’altro. Papa Francesco non “interpretava” il ruolo del pastore, lo incarnava con tutto se stesso.
A distanza di poco tempo, la mia vita è stata segnata da un altro evento del tutto inaspettato: la nomina episcopale come ausiliare della arcidiocesi di Tokyo. Una chiamata che non avevo previsto, alla quale ancora oggi – dopo quasi due anni – fatico a rispondere con piena consapevolezza. È una missione che sovrasta, che chiede molto, che spoglia e interroga. Ma è anche un dono che parla di fiducia e che invita a mettersi in cammino con umiltà.
Uno dei momenti che ricordo con maggiore emozione è stato l’incontro della visita ad limina di noi vescovi giapponesi. Anche in quell’occasione, al termine dell’udienza privata, ebbi modo di scambiare qualche parola con Papa Francesco. Con un sorriso mi disse: «Ma tu sei giovane!». Un’affermazione che mi colse di sorpresa, alla quale risposi, quasi istintivamente: «Ma è Lei che mi ha scelto!». E lui, con la sua consueta franchezza, replicò: «Hai ragione!». Poi aggiunse, con quella sapienza semplice che nasce dal cuore: «Sei il vescovo più giovane del Giappone, dunque hai il dovere di ascoltare i vescovi più anziani e di supportarli e forse anche di sopportali! Tuttavia, porta il tuo entusiasmo alla Chiesa del Giappone!»
Quelle parole, pur nella loro semplicità, continuano a risuonare dentro di me come una consegna, un mandato da vivere ogni giorno. Papa Francesco mi ha insegnato – con i gesti ancor prima che con le parole – che l’autorità nella Chiesa non è potere, ma servizio. Non è prestigio, ma dedizione. E che solo chi conserva lo stupore del cuore può portare davvero il Vangelo nel mondo.
Oggi, quando penso a lui, non vedo solo il Pontefice, ma un padre, un pastore, un uomo di Dio che ha camminato con il popolo. Un uomo libero, capace di sorridere, di commuoversi, di ascoltare. E di incoraggiare, anche chi, come me, si sente spesso inadeguato davanti alla grandezza della chiamata ricevuta.
Articoli correlati

Fatima Haidari e il diritto all’istruzione delle ragazze afghane

Quando sono i poveri a dare lezioni di fede
