Dhaka, la scuola che si fa famiglia
Nella capitale del Bangladesh suor Ilenia Catino, missionaria dell’immacolata, lavora come insegnante e accompagna bambini e genitori, costruendo legami di cura che generano fiducia e speranza. Il segreto è semplice: l’accoglienza
Cologno Monzese, Londra, Dhaka. Il percorso di suor Ilenia Catino è una mappa geografica segnata da incontri e svolte inattese. Dal 2021 la religiosa vive in Bangladesh, dove per un anno ha insegnato inglese ai bambini nel villaggio di Kewachala, a nord-est della capitale. Ma diventare maestra non era nei suoi piani. «Ho sempre voluto insegnare, ma non pensavo che sarei mai finita alla scuola materna. Mi faceva quasi paura: temevo di poter fare danni enormi, perché quello che un bambino impara a quell’età se lo porta dietro tutta la vita», racconta. «Quindi sono diventata maestra per caso: ho risposto alla richiesta di una suora della mia parrocchia, che mi aveva detto che c’era un posto per insegnare all’asilo, pensando che sarebbe stato solo un servizio temporaneo. Invece poi con i bambini mi sono trovata bene da subito e questa è stata la mia vocazione iniziale. Poi, in un secondo momento, è arrivata la vocazione missionaria: così i due cammini si sono fusi. Oggi insegnare non è solo un mestiere, ma parte della mia identità di missionaria».
Dopo esperienze a Monza e a Londra negli altri asili gestiti dalle Missionarie dell’Immacolata, inizia il cammino di suor Ilenia in Bangladesh in collaborazione con i padri del Pime. Quel primo incarico nelle aree rurali del Paese «è stata la mia esperienza missionaria più bella – ricorda – perché era davvero ad gentes. Eravamo in un’area dove, oltre alla missione già presente, non c’erano ancora famiglie cristiane né persone che avessero mai sentito parlare di Gesù. Si trattava di iniziare relazioni da zero, con delicatezza, senza imporre nulla ma vivendo accanto alla popolazione. Questo per me è l’ideale della missione: portare una presenza cristiana dove non c’è, sostenuta però da una comunità già esistente che fa da radice».
Dopo le lezioni all’asilo, suor Ilenia si dedicava alle visite nei villaggi circostanti. «Il primo anno ci è concesso di osservare, conoscere, imparare. Poi però mi hanno destinata a Dhaka, nel quartiere cristiano di Monipuripara, dove le Missionarie dell’Immacolata gestiscono una una scuola, la Mary Immaculate International School», che ospita bambini dai 3 ai 10 anni. Anche in questo caso suor Ilenia si dedica alla formazione dei più piccoli.
In un Paese in cui l’istruzione statale è spesso ridotta a un accumulo di nozioni, la scuola delle missionarie punta a educare la persona in maniera completa. «Non vogliamo solo trasmettere contenuti – spiega suor Ilenia – ma aiutare i bambini a crescere come persone, a sviluppare autostima, a gestire le emozioni e avere capacità di relazione. Lo sguardo sul bambino deve essere totale: non dobbiamo concentrarci solo sulle nozioni, ma anche su chi è e chi potrà diventare. Un domani alcuni di loro potrebbero essere leader delle proprie comunità o addirittura del Paese: è importante che abbiano questa consapevolezza e cura di sé e degli altri».
Oltre alle lezioni, l’impegno è anche verso i genitori. «In Bangladesh non esiste un’attenzione alla genitorialità – dice -. Molti vivono sradicati: le famiglie di origine restano nei villaggi rurali, mentre a Dhaka i genitori affrontano da soli le fatiche della città. Per questo stiamo progettando percorsi di accompagnamento per mamme e papà. Sarebbe una novità assoluta, un aiuto concreto per sentirsi sostenuti e non perdere l’importanza dei legami».
Il segreto di suor Ilenia è semplice: l’accoglienza. «In Bangladesh i genitori lasciano i bambini all’ingresso e non hanno contatti con gli insegnanti. Io invece sto al cancello ogni mattina: accolgo i piccoli e i genitori, chiedo come stanno, racconto cosa ho notato nel bambino. All’inizio molti erano diffidenti, soprattutto se non cattolici. Poi hanno capito che lo facciamo per aiutarli. Si crea così una collaborazione che diventa fiducia. Alcune famiglie ci raccontano difficoltà nascoste: mariti lontani per lavoro, mamme sole, nonni malati. Da lì nascono gesti concreti: aprire la scuola prima per accogliere i bambini, trattenerli oltre l’orario di fine delle lezioni perché non restino soli, condividere con loro la merenda. È la comunità intera – noi suore, ma anche cuoche, guardiani, personale – a diventare famiglia allargata».
Oltre alla scuola, suor Ilenia oggi segue anche l’ostello diocesano per ragazzi cattolici, molti provenienti da villaggi indigeni e avviati al college o in discernimento vocazionale. «All’inizio mi era stato chiesto solo di garantire la presenza nella cappella. Poi sono stati gli stessi responsabili a domandare: perché non pregare insieme, una volta al mese? Abbiamo iniziato l’adorazione eucaristica. Per i ragazzi era una novità: non la preghiera rituale, ma il tempo personale con il Signore. All’inizio timidi, imbarazzati. Poi hanno cominciato a confidare al Signore paure e sogni. È stato il dono più grande: vederli crescere nella libertà interiore e nella speranza».
Il Bangladesh che suor Ilenia ha incontrato, però, è anche un Paese che in anni recenti ha vissuto sconvolgimenti politici. Nell’agosto 2024 l’ex prima ministra Sheikh Hasina è fuggita in India dopo settimane di proteste antigovernative guidate, soprattutto a Dhaka, dagli studenti universitari. «Molti giovani che frequentano i nostri ostelli ci dicevano di non vedere futuro in Bangladesh. Per loro l’unica speranza sembrava andare all’estero». Un clima di sfiducia che ha trovato un contrappunto simbolico nell’apertura del Giubileo della Speranza voluto da Papa Francesco. «Mentre i ragazzi dicevano di aver perso la speranza, la Chiesa ci ricordava che Cristo è la nostra speranza. Non quella di un futuro facile, ma la certezza di una presenza che ci accompagna».
Ripensando al suo cammino, suor Ilenia lo descrive come una scoperta graduale. Nata a Milano e cresciuta a Cologno Monzese, ha respirato in parrocchia la vita dell’oratorio, poi ha imboccato per la prima volta la via della missione con il percorso «Giovani e Missione» del Pime, che l’ha portata a prestare servizio in Brasile. «All’inizio non pensavo alla consacrazione, dicevo di no con decisione. Così come mi sembrava impossibile insegnare alla scuola materna. Invece in Brasile ho capito che la missione non poteva restare ai margini della mia vita. Poi l’incontro con padre Castrese Aleandro, missionario del Pime della mia parrocchia, ha segnato la svolta: ho capito che la missione era il mio cammino. E pian piano anche la consacrazione è diventata una risposta naturale».
Dopo un lungo periodo in Italia, suor Ilenia attende di poter tornare in Bangladesh, dove la aspettano bambini, ragazzi e famiglie che la considerano parte della loro vita. «Il mio compito non è fare cose straordinarie – conclude – ma accogliere. Essere lì, al cancello della scuola o nella cappella dell’ostello, per dire con la vita che il Signore c’è e che la comunità è una famiglia. In questo modo io stessa ricevo ogni giorno il dono più grande: la fiducia delle persone e la possibilità di camminare insieme a loro».
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