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Parte dall’ascolto la cura dei fratelli

L’EDITORIALE. I missionari migliori sono coloro che ascoltano e si prendono cura delle persone che incontrano. Missione, ascolto e cura sono dunque un tema evangelicamente importante: ad esso ci ispiriamo nelle iniziative dell’Ottobre missionario al Centro Pime di Milano. Ascoltalo anche in PODCAST

Gli ideogrammi cinesi sono un caleidoscopio di sapienza: quello di “ascoltare” (ting) è piuttosto complesso e include i caratteri che significano orecchi, occhi e cuore. Il messaggio è trasparente: l’esercizio dell’ascolto implica l’attivazione non solo dell’orecchio, ma anche degli occhi e del cuore, ovvero dello sguardo e dell’empatia.

Ascoltare è la prima cosa che viene chiesta al credente e al missionario. “Shemà Israel– “ascolta Israele” – è stata la preghiera di Maria, di Gesù e dei suoi discepoli. Se la sacra scrittura, letta comunitariamente, è per noi parola di Dio, essa è anche, in un senso molto importante, parola umana. Tommaso d’Aquino osserva che Dio ci parla, nelle scritture, con un linguaggio umano, e lo fa introducendo il verbo accomodare. Dio si accomoda a noi, parla la nostra lingua per rendersi ascoltabile e dunque comprensibile. E così diventiamo quello che siamo, ovvero “uditori della parola” (Karl Rahner).

Nell’evangelizzazione succede qualcosa di simile. I migliori missionari, come Matteo Ricci, fanno dell’accomodamento – oggi diremmo inculturazione o interculturalità – il caposaldo del loro programma missionario. Credo di averlo sperimentato anch’io. Si entra nella vita di un popolo attraverso l’ascolto, poi si inizia a dialogare, poi a leggere e infine a scrivere. Entrare nella vita di un popolo, lontano da casa, è un’esperienza faticosa. C’è l’incomprensione culturale, la nostalgia e la tentazione di tornare sui propri passi. Lo sa chiunque attraversi i confini: i migranti e le badanti, i marinai e i mercanti, e anche noi missionari. Ma perdendosi in una lingua altra si perviene a una conoscenza di sé prima insospettata. Ascoltare e essere ascoltati è la via di guarigione dalla malinconia, l’infermità emotiva ben conosciuta da chi fa la fatica della partenza e del passaggio dall’estraneità all’ospitalità.

Tutti abbiamo provato cosa significhi non essere ascoltati, lo sconforto e il senso di solitudine che ne deriva. Che cosa ci fa sentire non ascoltati? Forse l’interlocutore guarda il telefono, non ci guarda in viso, si distrae per un nonnulla, non annuisce, non reagisce. Non interviene o parla al nostro posto: manca l’attenzione degli occhi e l’empatia del cuore. La postura dell’ascolto, l’attenzione dello sguardo, attivano una relazione empatica, che si prende cura dell’altro. I medici migliori sono quelli che ascoltano. E se non sempre si può guarire, sempre ci si può prendere cura dell’altro.

Similmente i missionari migliori sono coloro che ascoltano e si prendono cura delle persone che incontrano. Missione, ascolto e cura sono dunque un tema evangelicamente importante: ad esso ci ispiriamo nelle iniziative dell’Ottobre missionario e di questo anno sociale del Centro Pime di Milano.

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