Cooperazione, l’altra Brexit di Londra

Cooperazione, l’altra Brexit di Londra

Il governo di Boris Johnson ha annunciato l’intenzione di ridurre la quota del Pil del destinata alla Cooperazione internazionale (che era la più alta tra i Paesi del G7). L’appello del cardinale Nichols: «Sarebbe un passo retrogrado. Non facciamo pagare ai Paesi più poveri la crisi»

 

Nella sua prossima manovra finanziaria la Gran Bretagna non rispetterà più l’impegno di destinare lo 0,7% del Prodotto interno lordo alla Cooperazione internazionale. Nei giorni scorsi il Cancelliere Rishi Sunak – responsabile della politica economica nel governo di Boris Johnson – ha annunciato l’intenzione di scendere allo 0,5%, con un «risparmio» di circa 4 miliardi di sterline all’anno. Sunak ha motivato la decisione dicendo che sarebbe difficile «giustificare» la scelta di andare avanti con l’aliquota dello 0,7% in un momento in cui il deficit del Regno Unito sta raggiungendo livelli record. E ha promesso che il taglio sarà «temporaneo» e che i fondi alla cooperazione torneranno a salire «quando le nostre finanze lo permetteranno».

L’annuncio sta facendo discutere la Gran Bretagna e ha già provocato le dimissioni dal governo di Liz Sugg, che ricopriva la carca di ministro per lo sviluppo sostenibile. Quello prospettato è un passo indietro significativo non solo per Londra: il Regno Unito era infatti l’unico Paese del G7 a rispettare l’obiettivo dello 0,7% del Pil in cooperazione che i sette Paesi più industrializzati si erano dati già una decina di anni fa.

Secondo i dati dell’Ocse nel 2019 lo stanziamento britannico per gli aiuti internazionali era stato di circa 14,6 miliardi di sterline (19,4 miliardi di dollari). In termini assoluti tra i Paesi del G7 erano stati gli Stati Uniti a destinare la cifra più alta alla cooperazione: 34,62 miliardi di dollari; questa cifra, però, equivaleva solo allo 0,16 del proprio Pil. Al secondo posto la Germania con 23,81 miliardi di dollari che rappresentano in questo caso lo 0,6% del Pil; se dunque rimarranno invariati, la Germania diventerà il Paese con la quota di cooperazione allo sviluppo più vicina all’obiettivo fissato dai Paesi del G7. Quanto all’Italia i dati dell’Ocse relativi al 2019 certificano 4,90 miliardi di dollari realmente spesi in cooperazione internazionale, per una quota intorno allo 0,24% del Pil.

Tra le tante voci che in Gran Bretagna stanno contestando la scelta annunciata dal governo Johnson c’è anche quella delle Chiese, che sottolineano il grave danno per i Paesi più poveri oggi ugualmente colpiti dalla crisi economica provocata dalla pandemia. Molto forti le parole scritte in una lettera indirizzata al governo dall’arcivescovo di Westminster, il cardinale Vincent Nichols: «Una chiara unità di misura della grandezza di una nazione è il modo in cui risponde ai bisogni dei più poveri – ha scritto -. E la stessa cosa vale per la risposta alla povertà tra le nazioni. Se vogliamo davvero essere una grande nazione, tagliare i fondi per la cooperazione allo sviluppo è un passo retrogrado. Le grandi tragedie delle migrazioni forzate e la tratta di esseri umani devono essere affrontate a questo livello. Programmi di aiuto ben studiati e ben gestiti sono una parte essenziale di questo sforzo. E di fronte a queste catastrofi questo non è certo il momento per ridurre l’impegno e il contributo del Regno Unito».

«Nelle ultime elezioni – aggiunge ancora il cardinale Nichols – tutti i partiti hanno fatto promesse sulle spese per gli aiuti. In questi tempi così difficili e straordinari non dobbiamo venir meno alle nostre responsabilità di fronte alle persone più vulnerabili del mondo, specialmente perché combattere la diffusione del Covid-19 vorrà dire necessariamente per le nazioni ricche aiutare quelle più povere nell’acquisto dei vaccini e nell’aiuto per le campagne di vaccinazione di massa. Combattere il Covid-19 è un’impresa internazionale e non possiamo trascurare questi Paesi che beneficiano del nostro aiuto. Spero – conclude l’arcivescovo di Westminster – che un giudizio saggio e compassionevole prevarrà».