Quei morti nella Giornata del creato a Mindanao

Quei morti nella Giornata del creato a Mindanao

Il 1° settembre a Mindanao – nel giorno in cui la Chiesa celebrava la Giornata del creato – il direttore di una scuola agricola e altri due tribali crivellati sono stati uccisi perché «colpevoli» di difendere le proprie terre minacciate. La stessa sorte capitata a padre Fausto Tentorio (e a tanti altri ancora in questi anni)

Come tutti sappiamo qualche mese fa papa Francesco ha pubblicato l’enciclica «Laudato Sì» sulla cura della terra come nostra casa comune. Da allora è tutto un fiorire di iniziative nel mondo cattolico (dibattiti, eventi, libri…) che vedono al centro il tema della custodia del creato. E tra le iniziative più significative c’è stata la decisione presa proprio dal Papa di celebrare ogni anno il 1° settembre nella Chiesa cattolica la giornata del creato, come già avviene nel patriarcato ortodosso di Costantinopoli su iniziativa del patriarca Bartolomeo.

Prendere consapevolezza dell’urgenza della questione ambientale e del suo intreccio inscindibile con il tema della giustizia, è evidentemente importante. Però c’è un aspetto che continuiamo a rifiutarci di vedere: e cioè che nel mondo di oggi, in nome della corsa al consumo che chiede sempre più materie prime, in certe regioni del mondo lottare per un modello di sviluppo più attento alle persone significa andare incontro a una morte violenta.

Proprio il 1° settembre è successo ancora una volta in un contesto a noi del Pime particolarmente caro: l’isola filippina di Mindanao. Quella mattina infatti – in un villaggio della provincia di Surigao del Sur – è stato ucciso il leader tribale locale Emerico Samarca, direttore dell’Alternative Learning Center for Agricultural and Livelihood Development (Alcadev), una scuola che a partire dal rapporto con la terra provava a radicare le comunità tribali locali in quei villaggi nella foresta dove vivono da sempre.

Chi ha ucciso Emerico Samarca? Stavolta non sono stati killer misteriosi; il locale gruppo-paramilitare dei Magahat – che affianca l’esercito filippino nella caccia agli Npa, la guerriglia comunista – non ha avuto bisogno nemmeno di nascondersi. Sono arrivati in forze dicendo che il villaggio doveva essere evacuato. Testimoni raccontano di aver visto Samarca portato via legato; l’hanno ritrovato sgozzato in un aula delle scuola. Altri due tribali della comunità – Dionel Campos e suo cugino Aurelio Sinzo – sono stati uccisi davanti a tutti, crivellati di colpi. La cooperativa agricola promossa dall’Alcadev è stata data alle fiamme dai paramilitari. Il risultato di tutto questo è che circa 2 mila persone hanno lasciato la zona impaurite. Profughi anche loro, ma in una foresta, lontano dai riflettori del mondo. E tutto quello che attraverso la scuola era stato creato per la promozione dei loro diritti è stato spazzato via.

Non è un episodio isolato: da settimane la rete di scuole nate nella foresta per aiutare le comunità tribali a organizzarsi nella difesa dei propri diritti (proprio secondo quel metodo indicato da papa Francesco nell’enciclica «Laudato Sì»), sono nel mirino. I militari le accusano di fiancheggiare la guerriglia degli Npa; e i gruppi paramilitari hanno mano libera. Senza fare distinzioni, mettendo dentro tutto (guerriglia, interessi economici, vendette personali) dietro il comodo paravento della «lotta al terrorismo».

È una storia che ricorda terribilmente a quella di padre Fausto Tentorio, il missionario del Pime ucciso a Mindanao poco meno di quattro anni fa proprio per il suo impegno per la difesa delle terre delle popolazioni tribali. Le scuole colpite sono sempre quelle che lui avete aiutato a fondare e portare avanti. Come racconto nella sua biografia “Fausto Tentorio. Martire per la giustizia” – da poco in libreria per le edizioni San Paolo – la morte di padre Fausto (e di tutte queste altre persone dopo di lui) è la testimonianza che oggi, anche in un Paese a maggioranza cattolica come sono le Filippine, in determinati contesti si paga con la vita la scelta di stare dalla parte degli ultimi e di difendere il creato. E non è una storia lontana: il legno pregiato delle foreste dove vivono i tribali o i minerali che si trovano nel sottosuolo di quelle zone, li ritroviamo alla fine nelle nostre case. Morti tutte accompagnate da una vergognosa impunità.

Dobbiamo guardare in faccia a questa verità scomoda, per imparare dire dei no a questa economia che uccide intere comunità. Sono questi volti insanguinati a dirci che la difesa del pianeta non è una questione che riguarda solo i tecnici, ma una scelta di umanità che ci chiama in causa tutti. Ha anche i suoi martiri la difesa del creato; ed il loro il più delle volte è un martirio che continua nella carne di altre persone. Anche mentre noi celebriamo la Giornata del creato.