Costa d’Avorio, 50 anni di Pime

Costa d’Avorio, 50 anni di Pime

Da mezzo secolo i missionari garantiscono una presenza preziosa nelle zone più remote del Paese e nelle situazioni più difficili. Una testimonianza semplice e al contempo forte: la vita che diventa essa stessa annuncio

Cinquant’anni di missione in Costa d’Avorio. Un cammino che si fa sempre più ricco di presenze e di iniziative. Un’eredità? Padre Gabriel Costa ci riflette un attimo: «Quella più importante, a mio avviso, è stata ed è la nostra testimonianza di vita. Una testimonianza semplice e al contempo forte: è la vita stessa che diventa annuncio».
In questo mese di aprile, i missionari del Pime celebrano una ricorrenza che, inevitabilmente, diventa un’occasione di bilanci, ma anche di nuove sfide: quella appunto del mezzo secolo di presenza in Costa d’Avorio. Una storia di condivisione di tanti momenti di crescita, ma anche di alcuni periodi critici della storia recente di quella che veniva definita la “Svizzera dell’Africa” e che oggi fatica a risollevarsi dalle ceneri di un’assurda guerra intestina.
I missionari del Pime, che arrivarono nel 1973 sulla scia dei preti fidei donum della diocesi di Gorizia, sono sempre rimasti. E anche questo, sottolinea padre Gabriel, «rappresenta certamente uno dei segni più importanti che abbiamo lasciato in questo Paese. La gente ha sempre saputo che noi c’eravamo, anche nei momenti più tragici: anche quando, come tutta la popolazione locale, si correvano dei rischi o si metteva in pericolo la vita».
Padre Gabriel, 61 anni, originario del Bangladesh, ha vissuto la missione in Costa d’Avorio in due tempi: da giovane sacerdote è stato inviato nel Paese nel 1998; poi, dopo un lungo periodo in Italia (2003-2021), è tornato nel febbraio di due anni fa. Lo scorso marzo è stato nominato superiore della regione Africa del Pime.
Attualmente condividono con lui la missione in Costa d’Avorio altri sei missionari di tre continenti e quattro nazionalità diverse. È una delle caratteristiche che si sta via via affermando un po’ in tutti i Paesi di missione. Ed è quello che sta succedendo pure in Costa d’Avorio dove, dopo una storica e importante presenza di italiani, che hanno tracciato i solchi lungo i quali si sviluppano ancora oggi alcune linee pastorali e di promozione umana, oggi la realtà del Pime è decisamente più internazionale e giovane.
«Attualmente – ricostruisce padre Gabriel – siamo due italiani, due indiani, due brasiliani a cui a giugno si aggiungerà un diacono, e io che vengo dal Bangladesh. Il più giovane ha 35 anni, il più anziano 65. Siamo una piccola comunità e anche se viviamo in missioni lontane l’una dall’altra, cerchiamo di avere con regolarità dei momenti di condivisione».

La celebrazione del cinquantenario in questo mese di aprile è uno di questi, ma rappresenta anche un’occasione per ripercorrere e riflettere su una missione che è cambiata e che continua a farlo. «Diverse parrocchie fondate dal Pime, ad esempio, sono state consegnate alle diocesi – spiega padre Gabriel -. Questo rientra nel nostro carisma: quando una comunità è ben consolidata, ci dedichiamo a nuovi contesti di prima evangelizzazione». Nella diocesi di Bouaké, nel Centro-nord del Paese, questo passaggio è ben testimoniato da parrocchie come quelle di M’Bahiakro e Prikro, dove il Pime ha dato una testimonianza grande specialmente nei momenti di difficoltà e sofferenza durante la guerra. E i frutti si vedono anche in termini di vocazioni. «In queste parrocchie, molti giovani dicevano che volevano essere missionari come noi – ricorda padre Gabriel – e qualcuno di fatto lo è già diventato!».
«Non abbiamo mai avuto grandi progetti di sviluppo – fa notare – ma abbiamo sempre mostrato molta vicinanza alla gente». Padre Dino Dussin, che oggi con i suoi 65 anni è il “veterano” della missione in Costa d’Avorio, dove è arrivato nel 1981, è uno di quelli che a Prikro è rimasto anche nei momenti più difficili e pericolosi: «Le missioni cattoliche – ricorda – erano diventate punti di accoglienza per migliaia di sfollati. Per fortuna avevamo un po’ di riso e arachidi per dare qualcosa da mangiare a gente senza niente». Lo stesso padre Gabriel ha vissuto una simile emergenza poco distante, a M’Bahiakro, dove la crisi si è prolungata per molto tempo. Poi, come spesso succede in questi contesti, capitano pure piccoli miracoli. «Abbiamo ricevuto molti gesti di solidarietà, anche da parte di musulmani – ricorda padre Dino – che ci hanno permesso di andare avanti in tempi difficili e di aiutare moltissime persone».

Nel 2004, il bombardamento di un campo militare francese a Bouaké da parte di un aereo ivoriano pilotato da mercenari bielorussi ha fatto di nuovo precipitare la situazione. «Nelle nostre missioni arrivavano moltissimi sfollati dai villaggi – ricorda padre Dino -, ma anche gente del posto che cercava un luogo sicuro. Vicino a Bouaké sono state ritrovate fosse comuni con moltissime persone trucidate». In quel periodo, padre Dussin si è occupato molto anche di ragazzini arruolati a forza dai ribelli e costretti a combattere e di ragazzine ridotte a schiave sessuali: «Gli uni e le altre vivevano in contesti terribili di degrado e malvagità».
Oggi che la situazione è più tranquilla, i missionari del Pime sono tornati a occuparsi di quello che è nel loro carisma: prima evangelizzazione nei villaggi di savana del Centro-nord del Paese, dialogo con i musulmani che sono maggioritari, interventi educativi, sanitari e sociali ovunque ci siano situazioni di difficoltà e sofferenza che – in un contesto molto arretrato e abbandonato dalle istituzioni – non mancano mai.
«Oggi – conclude padre Gabriel – siamo presenti soprattutto nella diocesi di Odienné, la più povera di tutto il Paese, anche per mancanza di preti, religiosi e religiose locali. Le nostre parrocchie comprendono molti villaggi che visitiamo regolarmente per le celebrazioni e la catechesi. Non abbiamo grandi progetti caritativi, ma cerchiamo di promuovere l’istruzione attraverso il sostegno a distanza della Fondazione Pime di Milano. E spesso siamo costretti a occuparci di molti bambini malnutriti o con anemie».
A Kani, inoltre, una cittadina di circa 10 mila abitanti, il Pime ha realizzato un Centro socio-culturale con una biblioteca, l’unica presente in città. «Negli ultimi anni – dice il missionario – il numero dei cristiani è aumentato sia per la nostra presenza sia per la situazione sociale che è più stabile. Dopo gli anni di guerra adesso il contesto è più pacifico e si può guardare avanti con maggiore fiducia».


Mezzo secolo, guardando avanti

Il primo missionario del Pime, padre Gennaro Cardarelli, arrivò in Costa d’Avorio nel dicembre 1972, in collaborazione con i fidei donum della diocesi di Gorizia. Nel gennaio del 1973 fu raggiunto dal primo gruppo di missionari goriziani a cui seguì, nel 1975, una seconda équipe di cui facevano parte anche padre Giovanni De Franceschi e fratel Fabio Mussi del Pime. In cinquant’anni di presenza l’Istituto ha inviato ventotto sacerdoti, quattro fratelli missionari laici, due sacerdoti associati e cinque membri dell’Associazione laici Pime (Alp): in tutto, trentanove persone. Il superiore generale, padre Ferruccio Brambillasca, sarà in Costa d’Avorio per le celebrazioni del cinquantenario. Una Messa solenne è prevista il 23 aprile nella cattedrale di Bouaké, presieduta dall’arcivescovo Paul-Siméon Ahouanan Djro. Dopo l’assemblea dei missionari, i festeggiamenti continueranno a Ouassadougou, dove verrà inaugurata una grotta mariana. Infine, il 7 maggio, ci sarà un momento di festa anche a Kani, dove la parrocchia, fondata dalla Società per le missioni africane (Sma) e poi affidata al Pime, compie 25 anni. Prima di ripartire il superiore generale inaugurerà una nuova chiesa nel villaggio di Djélisso.