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Icona decorativaIcona decorativa18 Febbraio 2016 Davide Maggiore

Centrafrica, una speranza dopo le elezioni

I primi risultati del ballottaggio presidenziale premiano Faustin Archange Touadera: sarà probabilmente lui a dover guidare il Paese fuori dagli strascichi della guerra civile che dura da tre anni
  Bangui ha scelto, il resto del paese potrebbe seguirla: è Faustin Archange Touadera il favorito per la presidenza della Repubblica Centrafricana secondo i risultati provvisori del ballottaggio tenuto domenica scorsa. I dati resi pubblici finora dall’autorità nazionale per le elezioni riguardano proprio la capitale. Qui l’uomo politico già vincitore del primo turno (ma con appena il 23% dei consensi) ha raccolto 120.000 voti, contro i 55.000 del suo avversario Anicet Georges Dologuélé, che ha però denunciato brogli. Qualunque sia l’esito definitivo, un risultato importante sembra comunque essere già stato raggiunto. “In queste settimane il clima si è rasserenato, la gente aveva voglia di cambiamento”, testimonia da Bouar, nel nordovest del paese, padre Jean Marius Toussaint, frate cappuccino centrafricano. La novità attesa non riguarda certamente il profilo del vincitore (sia Touadera che Dologuélé avevano ricoperto in passato incarichi ufficiali) ma quella che da tre anni è la preoccupazione di ogni cittadino: la guerra civile, in cui le fazioni si sono spartite il controllo del territorio, innescando anche tensioni, prima sconosciute, tra i cristiani e musulmani. Più volte rinviate a causa dell’instabilità, le presidenziali e le legislative che si stanno svolgendo in queste stesse settimane erano viste dalla comunità internazionale e dagli stessi centrafricani come il primo passo per l’uscita dal conflitto, che ha provocato migliaia di vittime e oltre 900.000 tra sfollati interni e profughi. Restava, però, anche il timore che un esito sgradito a qualche milizia potesse dare vita a nuovi scontri. “Difficile che dopo i risultati ufficiali ci sia una reazione violenta. – dice tuttavia padre Toussaint – C’erano state alleanze di politici locali con entrambi i candidati arrivati al ballottaggio, semmai abbiamo paura di qualche azione isolata”. “In generale i gruppi armati hanno osservato una tregua durante la campagna elettorale”, continua il religioso, notando però come ormai basti poco per allarmare chi ha vissuto per mesi tra scene e notizie di battaglie. Come, ad esempio, è successo a Ndim, località del nordovest dove la comparsa di un gruppo di miliziani sbandati in cerca di rifugio, ma ancora in armi, ha creato paura tra la popolazione. “I nostri frati hanno lì il noviziato – racconta il sacerdote cappuccino – e i primi ad arrivare per chiedere accoglienza, impauriti dai guerriglieri, sono stati i musulmani locali, che hanno mandato da noi mogli e figli”. Proprio da questo esempio di fraternità, lontano dalla retorica dello scontro fomentata dai signori della guerra, potrebbe essere possibile costruire la pace. Per questo, ricorda però il religioso, serve anche un intervento delle nuove autorità di Bangui. “Sono gli stessi guerriglieri a chiedere di essere inclusi in un programma di disarmo, smobilitazione e reinserimento nella società civile con un aiuto finanziario. – spiega – Il vero problema è proprio che i combattenti hanno ancora le loro armi: bisognerà vedere quanti potranno unirsi all’esercito centrafricano e quanti invece dovranno essere di nuovo inseriti nella società civile”. Per la pace, conclude, “serve altro oltre a un nuovo presidente”.  

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