Camerun: Paul Biya, ultimo atto
A 92 anni, e dopo 43 al potere, il presidente si ripresenta alle elezioni del 12 ottobre certo di vincerle. Ma mai come oggi si pone il problema della successione. «Servono istituzioni solide per un passaggio di consegne pacifico», dicono molti osservatori nel Paese
Corruzione, malgoverno, una democrazia priva di trasparenza, povertà diffusa, elevata disoccupazione, fuga di massa dei giovani attraverso pericolose migrazioni irregolari, infrastrutture stradali in rovina, accesso limitato all’acqua e all’elettricità, gestione poco trasparente delle risorse petrolifere e minerarie e continue crisi di sicurezza nelle regioni anglofone e nell’Estremo Nord. Se si aggiunge un sistema educativo e sanitario alquanto deficitario non manca proprio nulla nell’elenco dei problemi incancreniti del Camerun stilato dall’arcivescovo di Douala Samuel Kleda che, alla vigilia delle elezioni presidenziali del 12 ottobre, ha fatto sentire la propria voce, dopo che l’intera Conferenza episcopale del Paese aveva già messo in guardia sulla posta in gioco di questa importante tornata elettorale: «Occorre creare le condizioni favorevoli all’organizzazione di elezioni giuste, libere, credibili e trasparenti». E se il messaggio non fosse stato sufficientemente chiaro, ci ha pensato l’arcivescovo Kleda a precisarlo ulteriormente: «No a elezioni organizzate con risultati predeterminati».
Di fatto, però, nessuno si aspetta qualcosa di diverso dall’ennesima vittoria di Paul Biya, anche perché l’opposizione – e pure questo per l’ennesima volta – è
estremamente frammentata. Basti pensare che sono state presentate ben 83 candidature di cui solo 12 sono state approvate. Tra queste non c’è quella dell’oppositore con maggiori chance, l’avvocato Maurice Kamto, 71 anni, che è stato escluso dalla corsa. Un altro candidato, l’avvocato Akere Muna, ha invece chiesto al Consiglio costituzionale che ne venga escluso Biya perché il suo «stato esige un’assistenza permanente ed è incompatibile con l’esercizio del potere». Comunque sia, queste elezioni segneranno, in un modo o nell’altro, il canto del cigno dell’anziano presidente. Se non altro per ragioni anagrafiche.
Paul Biya, infatti, è l’ultimo dei “dinosauri” d’Africa, nonché il più anziano capo di Stato al mondo e uno dei più longevi in carica: con i suoi 92 anni di età e i 43 di governo (è presidente dal 1982), ha battuto molti record. Anche quello dell’invisibilità. Perché in questi ultimi anni lo si è visto davvero molto poco. Una circostanza che ha sollevato molti ragionevoli dubbi sulle sue condizioni di salute. E che suscita innumerevoli interrogativi sul futuro.
Se è quasi certo, infatti, che – nonostante tutto – Biya vincerà anche le prossime elezioni e darà vita al suo ottavo mandato, molti sono convinti che, già da tempo, la sua sia una “presidenza per procura”, gestita dagli alti dirigenti del suo partito, il Rassemblement Démocratique du Peuple Camerounais (Rdpc), e da una ristretta cerchia di familiari e dignitari, che da anni approfittano largamente della situazione per fare i propri interessi a discapito di quelli della popolazione camerunese.
Non si può dire, però, che il Camerun non sia stato un Paese stabile, almeno dal punto di vista politico. Dall’indipendenza ottenuta dalla Francia nel 1960, ha avuto, infatti, solo due presidenti: Ahmadou Ahidjo e, appunto, Paul Biya. Stabile non significa però democratico, visto che sino al 1990 c’è stato il partito unico e tutte le successive elezioni sono state segnate da pesanti brogli. Stabile non vuol dire neppure pacifico. L’Estremo Nord, infatti, continua a essere interessato da attacchi di gruppi criminali jihadisti spesso provenienti dai Paesi limitrofi. E le regioni anglofone del Nord e del Sud-Ovest – tradizionalmente ostili a Biya – sono funestate da oltre vent’anni da uno dei più dimenticati conflitti civili al mondo, che ha provocato migliaia di morti e un numero impressionante di profughi e sfollati. Molti sono fuggiti in Nigeria, moltissimi altri sono rimasti nel Paese in condizioni umanitarie catastrofiche. Attualmente, in Camerun ci sono più di un milione di sfollati interni e circa 500 mila profughi provenienti principalmente da Nigeria e Repubblica Centrafricana.
«La pace prima, dopo e durante il voto deve essere una priorità nazionale», ha messo in guardia l’arcivescovo Kleda. Che ha aggiunto: «Un nuovo Camerun è possibile se i cuori e le menti cambiano e se la gente si unisce per la giustizia, la verità e il bene comune».
Ne è convinto anche padre Antoine Essomba Fouda, decano emerito della facoltà di Teologia dell’Università cattolica dell’Africa centrale di Yaoundé, già segretario della Commissione per la liturgia e l’inculturazione della Conferenza episcopale, con un dottorato al Pontificio Istituto liturgico Sant’Anselmo di Roma. «Il Camerun è un Paese molto complesso per la sua diversità culturale, etnica, faunistica, così come per la flora, l’allevamento, l’agricoltura, il sottosuolo e così via. Non per niente viene chiamato “l’Africa in miniatura”. È quindi un Paese dotato di grandi ricchezze. Ma paradossalmente, a parte una minoranza, la popolazione vive quasi al di sotto della soglia di povertà. È quindi urgente concentrarsi sul miglioramento del tenore di vita dei camerunesi, combattendo la povertà attraverso misure per rilanciare l’economia, creare ricchezza e offrire posti di lavoro ai giovani. Dobbiamo inoltre continuare a combattere la corruzione sistemica. Un altro punto molto importante è il ripristino della fatiscente rete stradale, che versa in pessime condizioni lungo tutti i suoi assi principali».
É quanto sostengono anche molte realtà della società civile camerunese che da anni stigmatizzano non solo il malgoverno, ma anche l’inefficacia e l’inefficienza dell’amministrazione a tutti i livelli e la stagnazione economica.
«L’economia camerunese – analizza il giornalista Jean Atangana, ex direttore editoriale tivù e radio presso la Camerun Radio Television (Crtv) – è soggetta ai capricci e ai vincoli di un clima economico internazionale difficile. Sebbene riconosciuta dagli esperti come la più resiliente dell’Africa centrale, deve superare numerose sfide. La prima è consolidare il processo di graduale (ma risoluta) uscita dal modello economico postcoloniale, basato sull’esportazione di materie prime, da un lato, e sull’importazione della maggior parte dei beni di consumo manifatturieri dall’altro».
La seconda grande sfida, aggiunge il giornalista, riguarda la necessità di «finanziare l’economia interna, per consentire ai produttori locali di ridurre significativamente la loro dipendenza da fonti esterne e creare nuovi posti di lavoro».
Ed ecco dunque la terza priorità per il futuro del Paese: l’integrazione socio-professionale dei giovani, che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione. «La diffusa disoccupazione è in parte legata alla mancanza di formazione professionale, ma anche a una cultura del lavoro dipendente nel servizio pubblico che deve essere coraggiosamente cambiata. Anche il sostegno ai progetti dei giovani dovrebbe essere intensificato e ottimizzato. La disoccupazione endemica nella maggior parte della popolazione aumenta il tasso di povertà e accentua le disuguaglianze. Tutti questi fattori generano un clima sociale a volte teso e alimentano la tentazione dell’emigrazione, che in realtà è una trappola, un po’ come un’esca per molti dei nostri giovani».
Anche la Chiesa cattolica camerunese si è fatta portavoce, nel corso degli anni – pur con tutte le sue differenze e, talvolta, anche con le sue divisioni interne – di tante istanze sociali. «La Chiesa – sostiene padre Essomba – non si sostituisce allo Stato, ma ha il ruolo fondamentale di formare le coscienze per la gestione della cosa pubblica e per il bene comune. Ciò richiede onestà e rigore morale ed etico. Oggi più che mai, deve anche sensibilizzare la popolazione affinché sia artefice di riconciliazione, giustizia e pace. Per questo si raccomanda di pregare per la pace anche in questo tempo elettorale, prima, durante e dopo il voto. Attraverso la Commissione giustizia e pace, inoltre, la Conferenza episcopale del Camerun si farà carico del monitoraggio delle elezioni attraverso la presenza di osservatori nei seggi affinché ne siano garantiti il corretto svolgimento e la trasparenza».
Ma se anche rivincesse Paul Biya – come tutti danno per scontato – questa volta ci si deve porre necessariamente la questione della sua successione. La speranza, secondo padre Essomba (condivisa anche da molti camerunesi dentro e fuori il Paese) è che «il presidente crei le condizioni affinché il Camerun abbia istituzioni solide che promuovano un agevole passaggio politico di consegne, in modo che chiunque verrà dopo di lui possa avere una cultura democratica e guidare il Camerun con equità e altruismo».
È sostanzialmente d’accordo anche l’editorialista Jean Atangana: «Difficile dire quello che succederà dopo. Tuttavia, dobbiamo poter credere che la vita continuerà in pace e unità, sempre che il Presidente Paul Biya abbia provveduto a creare le condizioni appropriate per una transizione generazionale controllata. I giovani prenderanno effettivamente il sopravvento, con l’obiettivo di continuare la trasformazione del potenziale ancora intatto del Camerun e farne una terra di prosperità condivisa davvero per tutti».
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