Kenya, i vescovi contro la chiusura dei campi profughi

Kenya, i vescovi contro la chiusura dei campi profughi

Il governo del Kenya ha ordinato la chiusura dei campi profughi di Daadab e Kakuma che ospitano oltre 400mila rifugiati e richiedenti asilo dalla Somalia e dai Paesi vicini. La Conferenza episcopale invoca il principio di non respingimento in Paesi dove la violenza non è cessata. E chiede aiuti e più sicurezza

 

Il 24 marzo scorso, il governo keniota ha dato un ultimatum di 14 giorni per chiudere i campi profughi di Daadab e Kakuma. Nei due campi sono ospitati oltre 400mila rifugiati e richiedenti asilo provenienti principalmente dalla Somalia e dai Paesi vicini (Tanzania, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Etiopia, Ruanda, Sud Sudan).

La rete televisiva Al Jazeera ha riportato che giovedì l’Alta Corte del Kenya ha temporaneamente sospeso la chiusura di Daadab e Kakuma per 30 giorni in seguito a una petizione presentata da un politico locale che contestava la mossa di chiudere i campi. La chiusura di Daadab era già stata tentata nel 2016 per “motivi di sicurezza” ed è volta a rimandare migliaia di profughi in Somalia. L’argomento principale del governo per chiudere i campi è che sono stati infiltrati da elementi di Al Shabaab, la cellula somala di Al Qaeda, e dai suoi simpatizzanti che hanno lanciato attacchi terroristici da lì.

Il quotidiano keniano, The Star, ha riportato l’appello dei vescovi cattolici al governo che ieri – come Conferenza episcopale del Kenya – hanno spiegato che la chiusura dei campi nel bel mezzo della pandemia di Coronavirus esporrebbe ulteriormente donne e bambini vulnerabili alla sofferenza.

La decisione, inoltre, è contro la legge internazionale che richiede alle nazioni che ospitano i rifugiati e i richiedenti asilo di rimpatriarli nei loro Paesi solo quando le condizioni sono migliorate e sono fuori pericolo. Eppure, il malgoverno in Somalia non è cambiato, la guerra e la violenza non sono cessate, la carestia e la fame non si sono placate. Il rimpatrio forzato viola il principio di non respingimento, o di non-refoulement, hanno affermato.

Ma i vescovi, anziché la chiusura dei campi, chiedono al governo un aumento della sicurezza nelle strutture e qualsiasi altro sostegno ai rifugiati e agli organismi che lavorano direttamente per assicurare che essi ricevano le necessità di base. “I rifugiati sono diventati ancora più vulnerabili a causa della pandemia Covid-19 che richiede l’osservanza di certe misure sanitarie per rimanere al sicuro, cosa che non possono fare a causa delle dure condizioni in cui vivono”, hanno affermato.

Oltre ai vescovi contro la chiusura si erano già espressi gruppi per i diritti umani, tra cui Amnesty International. “Piuttosto che perseguitare i rifugiati, il governo del Kenya può usare la sua influenza al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere che la comunità internazionale si assuma la sua giusta parte di responsabilità per proteggere i rifugiati. La chiusura arbitraria dei campi è un invito aperto a un disastro umanitario”, ha detto Houghton Irungu, direttore esecutivo di Amnesty International Kenya.