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Un mondo con le scuole chiuse

Secondo i dati dell’Unesco a livello globale sono ormai 1 miliardo e mezzo gli studenti impossibilitati a recarsi in aula a causa del Coronavirus, cioè l’87% del totale. E per molti ragazzi nei Paesi del Sud del mondo non andare a scuola significa anche non aver garantito un pasto completo
  Da settimane ormai i ragazzi in Italia sono a casa da scuola per l’emergenza Coronavirus e gli istituti cercano con le lezioni on line di fare fronte a una situazione che pare destinata a durare a lungo. Non si tratta però di un problema solo italiano: ogni giorno che passa nel mondo aumentano i Paesi che si trovano a dover chiudere le scuole per arginare la diffusione dell’epidemia. L’Unesco – l’agenzia dell’Onu che si occupa di istruzione e cultura – tiene quotidianamente monitorato l’evolversi della situazione: a oggi parla di 1.534.227.915 studenti di 184 Paesi toccati dalle chiusure, comprendendo anche le situazioni dove la sospensione delle elezioni è stata dichiarata non su scala nazionale ma solo in alcune regioni. Secondo questi dati la stima è che nel mondo l’87,6% degli studenti – dalle scuole dell’infanzia fino alle università – in questo momento non possa mettere piede in aula. È un dato altissimo che fotografa un mondo quasi totalmente con le scuole chiuse. Che si tratti di un danno inestimabile per tutti è molto facile da capire. Non tutti però si trovano ad affrontare questo problema nella stessa condizione: ci sono infatti alcune situazioni particolari che rendono la chiusura delle scuole una ferita ancora più grave. In particolare proprio l’Unesco sta invitando il mondo ad accendere i riflettori su tre questioni specifiche che il mondo ad aule chiuse pone. La prima è il problema del digital divide, cioè le disparità nelle possibilità di accesso ai dispositivi che permettono le lezioni a distanza. È un problema che vale per il Sud del mondo, ma attraversa sottotraccia anche i Paesi più industrializzati. Anche in Italia ci sono aree del Paese – o situazioni specifiche – in cui alle famiglie mancano gli strumenti necessari per proseguire l’attività didattica da casa. E quindi a livello globale esiste il rischio concreto che chi ha meno possibilità economiche in questo momento venga penalizzato anche in un diritto umano fondamentale come quello all’istruzione. La questione riguarda i Paesi dove il problema della fame – che continua a colpire 1 abitante su 9 del mondo – è ancora largamente diffuso. Da questo punto di vista la scuola negli ultimi decenni è stata un presidio importante anche per la lotta alla denutrizione: nei passi avanti che sono stati compiuti il fatto di aver garantito a sempre più ragazzi nel mondo la possibilità di frequentare almeno un ciclo scolastico è stato un contributo essenziali. In molti contesti, infatti, andare a scuola significa anche poter usufruire di almeno un pasto completo al giorno. In ben 61 Paesi del mondo, per esempio, il World Food Program sostiene i sistemi scolastici per questa sfida. la domanda quindi diventa: che cosa sta succedendo ora che le scuole sono chiuse? È una preoccupazione che emerge particolarmente chiara nelle testimonianze che arrivano in queste ore anche all’Ufficio Aiuto Missioni del Pime. «Le scuole sono chiuse fino al 9 aprile e i bambini adottati da voi, come gli altri, restano a casa per il lokcdown – scrive ad esempio mons. Gervas Rozario, che in Bangladesh è vescovo a Rajshahi, una delle diocesi dove è attivo il Sostegno a distanza promosso dalla Fondazione Pime Onlus -. So che a casa loro stanno leggendo i libri e svolgendo le lezioni. Ma sono preoccupato per le loro famiglie, perché anche i loro genitori non possono lavorare a causa del lockdown. E quando non possono lavorare non hanno nulla da mangiare. il governo dice che c’è cibo in abbondanza nel Paese, ma io so che questo discorso non vale per i poveri». Infine una terza sfida che la chiusura delle scuole pone è il tema dell’inclusione: come fare fronte ai bisogni specifici di chi per una disabilità o altre problematiche manifesta difficoltà nell’apprendimento? Non essere fianco a fianco in aula può diventare in questo caso un problema molto serio. Di qui la sfida – sostiene l’Unesco – a pensare anche in questo momento di emergenza a percorsi differenziati che permettano davvero di non lasciare indietro nessuno.    

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