Suora di strada

Suora di strada

È da poco rientrata in Centrafrica suor Elvira Tutolo. Dopo 15 anni di missione e una parentesi italiana per curare le ferite dell’anima. Con la speranza che la guerra sia definitivamente alle spalle

 

Alla fine Papa Francesco ci è andato e c’è tornata pure lei. Quindici anni di missione in Centrafrica che si rinnovano con spirito nuovo e nuova speranza. Quella appunto lasciata da Francesco che in questo Paese, contro tutto e tutti, ha voluto andarci e aprire la Porta Santa del Giubileo della Misericordia.

Suor Elvira Tutolo al Centrafrica e alla sua gente ha dedicato i suoi anni più belli e quelli più drammatici. Termolese, religiosa della carità di santa Antida, ha dovuto far appello a tutto il suo spirito battagliero e alla sua energia per affrontare gli eventi più tragici e devastanti che hanno segnato il Paese in questi ultimi tre anni. Al punto da dover tornare in Italia per affrontare i fantasmi che la perseguitavano dentro. Immagini di sangue, dei “suoi” ragazzi torturati e trucidati, quasi duecento quelli che la guerra ha inghiottito e che ha dovuto seppellire. L’orrore delle sevizie, di quei corpi su cui si è accanita la forza disumanizzante di persone che si comportano peggio di bestie. Non se ne esce indenni, anche se si ha la tenacia e il coraggio di una “guerriera della pace”, come è suor Elvira. Che è dovuta rimanere in Italia più di quanto pensasse, per fare i conti con le ferite dell’anima, quelle più difficili da guarire. «Anche questa è missione. Accettare le proprie debolezze, affrontare le proprie fragilità, per ritrovare equilibrio e serenità e ripartire con la carica giusta per camminare ancora accanto a questo popolo oltraggiato, con nuova energia e speranza».

Suor Elvira è tornata a Berberati, una cittadina a quasi 500 chilometri dalla capitale Bangui, vicina al confine con il Camerun. Ha ripreso le sue molte attività e i fili delle tante relazioni costruite negli anni. Ricorda il passato, ma preferisce pensare al futuro. «La visita di Papa Francesco – commenta – rappresenta certamente un punto di svolta. Ha lasciato un segno profondo non solo nella Chiesa e nella gente, ma anche nelle istituzioni. Ora però ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità».

Il referendum costituzionale del 13 dicembre e le elezioni presidenziali del 30 (con ballottaggio il 31 gennaio) hanno rappresentato un significativo passo avanti nel processo democratico e di stabilizzazione del Paese. Sempre che non succeda qualche altro infausto colpo di scena.

«La gente ha dimostrato grande coraggio ed è andata a votare, nonostante le difficoltà a iscriversi nelle liste e a raggiungere i seggi – commenta suor Elvira -. C’è voglia di pace e di stabilità. Non ne possiamo più della guerra. Il Centrafrica era già uno dei Paesi più poveri al mondo. Il conflitto ci ha messi completamente in ginocchio. Sarà dura rialzarsi. Speriamo che queste elezioni rappresentino veramente una svolta».

Non sono mancati scontri, specialmente nella capitale Bangui, dove almeno due persone sono morte e una ventina sono state ferite, ma anche nelle province settentrionali ed orientali. Complessivamente, tuttavia, circa due milioni di centrafricani – su una popolazione di quasi cinque milioni – si sono registrati per il voto, mentre l’operazione è risultata molto più difficile per i circa 460 mila sfollati; solo il 26 % infatti è riuscito a recarsi alle urne.

«La popolazione desidera a tutti i costi voltare pagina – conferma suor Elvira -; abbiamo tutti bisogno di poter pensare al futuro con maggiore serenità e prospettiva, non solo a come sopravvivremo sino a domani».

Anche a Berberati, così lontana dai centri del potere, si sono vissute tutte le fasi della guerra, con i ribelli Seleka che hanno occupato a lungo la cittadina, rendendosi responsabili di violenze, esazioni e prepotenze. «Quando se ne sono andati – ricorda – hanno saccheggiato e portato via tutto quello che hanno potuto caricare sui camion. Ma è stata comunque una liberazione, anche se le cose non sono migliorate di molto. Se a Bangui, infatti, la situazione è rimasta molto tesa ed esplosiva in alcuni quartieri, nel resto del Centrafrica è il caos più assoluto. Un Paese fuori controllo».

A Berberati, suor Elvira è stata a lungo la responsabile del Centro culturale cattolico, un luogo molto vivace di attività e iniziative dedicate in particolare ai giovani. Ma al contempo, ha consacrato molta della sua missione ai bambini di strada. Ed è così che si è presentata a Papa Francesco, che le chiedeva cosa facesse: «Sono una donna sulla strada». «Bene, bene…», le aveva risposto il Pontefice, che la aveva confidato anche la sua preoccupazione per questo Paese. «Sorella – le aveva detto durante un incontro in Vaticano – lo sai che ho una predilezione per il Centrafrica?». «Non ci potevo credere! – ricorda la religiosa -. Ci sentiamo spesso dimenticati e abbandonati da tutti. La maggior parte della gente non sa neppure dov’è il Centrafrica o lo confonde con una regione del continente».

L’incoraggiamento del Papa, allora come oggi dopo la sua visita, continua ad accompagnare suor Elvira nel paziente lavoro di accompagnamento di tanti bambini e ragazzi, abbandonati o cacciati di casa, accusati di stregoneria, picchiati brutalmente e in alcuni casi vittime di tentati omicidi. Altri, invece, hanno cercato di abbandonare i gruppi armati che li avevano reclutati a forza, ma subiscono minacce o hanno difficoltà a trovare un lavoro che consenta loro di vivere una vita più dignitosa e meno precaria. Una realtà disperata, per molti versi, ma anche ricca di potenzialità, su cui suor Elvira ha investito molte energie. «L’idea di fondo che mi ha ispirata – racconta – è che un bambino ha innanzitutto bisogno di un papà e di una mamma, non di una suora. Per questo ho coinvolto alcune coppie di giovani sposi con i quali abbiamo cominciato a riflettere sulla loro vita di famiglia e sulla capacità di dialogare e di accogliere. Si è consolidata una bella amicizia con queste coppie. E un po’ alla volta è aumentato anche il loro numero. Adesso sono una trentina quelle che accolgono ex ragazzi di strada come se fossero figli loro. E una decina di questi bambini, divenuti ormai adulti, sono diventati, a loro volta, coppie e famiglie disponibili ad aiutare altri ragazzini che si trovano oggi nelle situazioni disperate da cui loro sono usciti. Dalla fraternità nata in maniera del tutto informale, sono nate così le “Coppie Kizito”, dal nome del più piccolo dei martiri dell’Uganda, che il Papa ha commemorato durante il suo recente viaggio in quel Paese, e quindi l’ong Kizito, riconosciuta a livello nazionale».

La guerra, però, ha complicato tutto. Ma queste famiglie non hanno desistito, nonostante i problemi enormi. «Anzi – dice suor Elvira – durante il conflitto si sono ancora più unite e sostenute tra di loro. Anche a rischio della vita».

La religiosa racconta di un papà del gruppo che, avendo visto in strada una donna incinta in grave difficoltà, l’ha portata immediatamente all’ospedale. Per la donna, tuttavia, non c’è stato niente da fare. E la neonata di appena un chilo è stata accolta da lui e sua moglie, perché i nonni al villaggio non avevano niente. L’hanno chiamata Elvira e l’hanno tenuta con loro, anche quando sono dovuti scappare in foresta per via degli scontri.

La bambina, però, si è ammalata e quando l’hanno portata in ospedale non c’era nessuno che potesse curarla. Impossibile poi andare a Bangui, per via dell’insicurezza e dei posti di blocco dei ribelli. La bambina è morta ed è morto anche il papà adottivo, pure lui ammalato e senza cure.

«Moltissime persone in Centrafrica sono morte direttamente a causa della guerra – commenta triste suor Elvira -, ma molte di più continuano a morire perché non hanno da mangiare o non possono curarsi adeguatamente quando sono malate».

Per far fronte a questa situazione di povertà, che si è ulteriormente aggravata in questi ultimi anni – e per dare una prospettiva di futuro ai suoi ragazzi – suor Elvira aveva avviato anche un Centro di formazione agricola, con un programma educativo e un altro di lavoro vero e proprio. «Come possiamo pensare di impedire a questi giovani di arruolarsi nei gruppi ribelli se non offriamo loro un lavoro su cui costruire la loro vita?- si interroga la religiosa -. E come possiamo pretendere che quelli che sono stati arruolati lascino quella vita di violenza, cercando di sopravvivere usando la forza? Solo con l’istruzione e il lavoro possiamo pensare di costruire qualcosa di buono e positivo. Ma sono pochi quelli disponibili ad aiutare in questo senso. Anche le grandi agenzie umanitarie ti ascoltano se chiedi aiuti di emergenza, ma se cerchi di realizzare qualcosa di duraturo spariscono tutti».

Suor Elvira è amareggiata, ma non si scoraggia. Nel maggio dello scorso anno, è stata costretta a chiudere il Centro agricolo per mancanza di fondi, usati tutti per far fronte alle gravi necessità imposte dal conflitto. Ma non si arrende. «Non riesco a darmi pace. Questo Centro rappresenta davvero un investimento sul futuro». Gli avvenimenti degli ultimi mesi le danno una nuova carica. Ma c’è bisogno della solidarietà di tutti. «Dopo che i riflettori si sono posati fugacemente su questo Paese durante la storica visita di Papa Francesco, non dobbiamo lasciare di nuovo cadere il Centrafrica nell’oscurità dell’oblio». MM