Covid, così le prime vaccinazioni in America Latina

Covid, così le prime vaccinazioni in America Latina

Messico, Cile e Costarica i primi a partire con il vaccino della Pfizer (ma con dosi poco più che simboliche). Domani l’Argentina al via con 300mila dosi del russo Sputnik V. Mentre in Brasile anche il vaccino diventa terreno di scontro tra il presidente Bolsonaro e il governatore dello Stato di San Paolo Doria

 

Tra le aree più colpite al mondo dal Coronavirus, in una situazione solo parzialmente mitigata nelle ultime settimane dalla stagione favorevole, anche in America Latina in queste ore sta partendo la corsa alle vaccinazioni. Con un intreccio molto forte tra operazioni d’immagine delle leadership politiche, opzioni geopolitiche e scontri tutti interni ai singoli Paesi.

È stato il Messico il primo Paese a poter sbandierare il 24 dicembre la prima vaccinazione effettuata a un’infermiera, grazie a un primo quantitativo di dosi del vaccino Pfizer acquistato in forza di un accordo bilaterale. Una carta che il presidente López Obrador ha cercato di spendere come risposta d’immagine alle pesanti critiche sulla gestione della pandemia in un Paese che con oltre 122mila morti è il quarto al mondo per numero di vittime. Praticamente nelle stesse ore il vaccino Pfizer è poi arrivato anche in Cile e Costarica, che hanno avviato il loro programma vaccinale. Va però aggiunto che per ora anche in questi tre Paesi – come nell’Unione europea – si è trattato di un inizio solo simbolico, con poche migliaia di vaccinazioni effettuate.

Domani inizieranno invece le vaccinazioni in Argentina, ma in questo caso con il vaccino russo Sputnik V, di cui Buenos Aires si è già garantita 300 mila dosi. Il contratto firmato con Mosca prevede l’arrivo di 20 milioni di dosi, anche se circolano dubbi sull’effettiva disponibilità di questo quantitativo, soprattutto per quanto riguarda la seconda dose, quella del richiamo da compiere dopo 21 giorni. Allo Sputnik V dovrebbero poi aggiungersi altri 22 milioni di dosi del vaccino Astra-Zaneca, quello sviluppato dall’Università di Oxford in attesa di approvazione, che proprio in Argentina ha uno dei suoi maggiori centri di produzione.

Più indietro il piano vaccinale del Brasile che fa i conti anche con uno scontro tutto interno tra il presidente Jair Bolsonaro e il governatore dello Stato di San Paolo, Joao Doria, che si preannuncia già come uno degli sfidanti nelle presidenziali del 2022. Doria sostiene l’accordo per la produzione locale del Sinovac, il vaccino cinese, che avviene presso un’azienda che ha sede nel suo governatorato. Ma si attende ancora il via libera dell’Anvisa, l’agenzia del farmaco brasiliana che ne sta testando l’efficacia. Bolsonaro da parte sua è molto freddo (personalmente ha annunciato l’intenzione di non vaccinarsi, anche se la Corte suprema si è schierata per l’obbligatorietà del vaccino). Mentre nel piano ufficiale del ministero della sanità dovrebbe essere il vaccino di Astra-Zeneca a fare la parte del leone, con oltre 210 milioni di dosi ordinate.

Disperse nello scontro politico interno anche le dosi del vaccino necessarie per il Perù, che pure è il Paese dell’America Latina che ha registrato più morti in rapporto alla popolazione: 117 ogni 100.000 abitanti. Mentre il ministero della sanità parla vagamente di accordi con tre produttori ma senza fornire dettagli, il presidente deposto Vizcarra e il Congresso si accusano a vicenda per lo stallo.