La vocazione pellegrina di suor Vivian

La vocazione pellegrina di suor Vivian

Originaria di Hong Kong, suor Vivian Wai Man Bok ha fatto un lungo percorso, tra Roma e New York, prima di trovare la sua strada. Oggi opera in Brasile, in una parrocchia che comprende oltre 70 comunità, «alcune in mezzo al nulla».

 

«Questa mia missione è un pellegrinaggio» esclama subito suor Vivian Wai Man Bok, quando le chiedo di raccontarmi la sua storia. Parla cantonese, inglese, italiano e ora portoghese, anche se dopo cinque anni in Brasile dice di dover ancora migliorare la pronuncia. «Qui dormono sulle amache e mangiano formaggio fritto», racconta ridendo. Suor Vivian è una missionaria dell’Immacolata originaria di Hong Kong, l’ex colonia inglese a sud della Cina continentale che negli ultimi anni è stata palcoscenico di proteste democratiche e dure repressioni. «Ho seguito con attenzione gli eventi, anche se io ero sempre all’estero». Prima di essere mandata in missione in Brasile ha studiato qualche anno a Roma, e ancora prima aveva trascorso due anni a New York. «Vedo che il futuro della mia città sta peggiorando, anche solo essere un cittadino di Hong Kong ora è difficile. La maggior parte dei miei amici se n’è andata quando la Gran Bretagna ha offerto loro la possibilità di farlo», commenta la religiosa. «Fra tre anni potrò tornare, ma ho paura di non riconoscere più la metropoli che amo. Mi preoccupano l’opposizione politica e la repressione delle libertà dopo l’imposizione della legge sulla sicurezza da parte di Pechino».

Tutta un’altra storia il Brasile: «È un Paese caloroso. Ci sono persone da ogni parte del mondo perché ci si sente sempre i benvenuti. La vita qui è più semplice rispetto a quella di Hong Kong, ma ci sono altri problemi». Suor Vivian ora vive con due consorelle italiane nella parrocchia di Sant’Anna a Independência, nello Stato del Ceará, Brasile orientale. Nel 2016, appena arrivata, ha passato un anno a San Paolo per imparare la lingua. «Ho visto tanta violenza e tanta povertà. Tossicodipendenti che vivevano in strada e poveri che stavano nelle discariche. “Io, missionaria, cosa posso fare per queste persone?”, mi sono chiesta». Il lavoro pastorale prevede di andare in visita a tutte le comunità della parrocchia, che sono più di 70. «La cosa che ancora mi stupisce sono le distanze. Dobbiamo sempre prendere la macchina e ogni giorno facciamo anche 60 km per incontrare le persone. Nelle aree rurali ci sono solo case isolate e cactus – anche questo lo dice ridendo e dimostrando ancora una certa sorpresa -. Ci sono comunità che vivono letteralmente in mezzo al nulla».

La vita da cinese di Hong Kong, dove solo il 5% della popolazione è cristiana, era completamente diversa. «Sono cresciuta vedendo i miei famigliari bruciare l’incenso agli avi. La maggior parte è buddhista o taoista». A segnarla e a darle un primo indirizzo verso la vita cristiana è il divorzio dei genitori, quando lei aveva solo quattro anni. «Mio padre si è risposato con una donna cristiana e si è fatto battezzare. A 13 anni io ho seguito il suo esempio. È stata un’esperienza meravigliosa», racconta commossa suor Vivian, che ora ha 46 anni. «C’era un naturale desiderio dentro di me di diventare cristiana. Ero affascinata dai racconti della Bibbia che sentivo a scuola». La giovane Vivian frequentava un istituto cattolico insieme al fratello, ma quasi nessuno dei loro compagni praticava quella fede. «La domenica mattina loro dormivano fino a mezzogiorno. Io mi alzavo presto per andare a Messa e non vedevo l’ora, perché era l’unica possibilità che avevo di stare un po’ con Dio». All’università Vivian entra a far parte del movimento dei Focolari. Fa l’animatrice con i giovani e continua a crescere nella fede. «Per 3-4 anni d’estate sono andata a fare volontariato nella Cina continentale, che allora era un Paese molto diverso rispetto a oggi. Insegnavo inglese ai bambini, volevo seguire l’esempio di Gesù di servire i più piccoli. Ma non potevo dichiarare la mia fede – prosegue la missionaria – perché in Cina è vietato. Per cui dopo ogni lezione tenevamo degli incontri segreti per chi volesse conoscere Gesù». «È stata la mia prima missione, ma ancora non lo sapevo», commenta la religiosa. Poi nel 2000 con i Focolari va a Roma alla Giornata mondiale della gioventù: «“Non abbiate paura e seguite Gesù”, era stato il messaggio di Giovanni Paolo II. Mi sono sentita chiamare ma le cose non mi erano ancora chiare».

Nel frattempo va oltremare per vivere due anni a New York. «Lì ho acquistato una visione universale e ho realizzato che c’erano tantissimi cinesi nel mondo, dalla Cina, da Hong Kong, da Taiwan… È stato incredibile!», racconta emozionata suor Vivian. «Avevo capito che desideravo vivere nella diversità e nella fraternità allo stesso tempo. È anche il sogno di Dio, no? Avere tutti i suoi figli che vivono insieme sotto lo stesso tetto».

Al suo ritorno a Hong Kong la futura missionaria aveva una vita tranquilla, un buon lavoro (faceva l’assistente sociale), frequentava ancora i Focolari e aveva un’attiva vita comunitaria. Poi arriva la perdita di due suoi cari amici per una malattia: «Erano molto giovani e molto credenti, per me erano un esempio a cui guardare per ritrovare il senso della vita. Ho capito che quella di Dio era una chiamata d’amore, ma cosa voleva da me?», si chiedeva Vivian al tempo. È proprio in quel periodo che conosce la congregazione delle Missionarie dell’Immacolata. «Dio aveva già preparato il suolo. Quando ho incontrato le sorelle ero pronta a raccogliere il frutto della mia vocazione. Mi sono subito sentita a casa. Ero stupita da come suor Luigia e suor Giovanna parlassero bene il cantonese. Ho pensato: “Questa è la mia famiglia e voglio anche io condividere l’amore di Dio con altri popoli che mi sono fratelli”».

Da quel momento all’arrivo in Brasile sono passati circa dieci anni e le sfide per suor Vivian ora sono tutte nuove: «Qui ci sono grossi problemi di violenza. Di notte le persone non escono di casa perché hanno paura dei gangster che regolano i conti tra di loro. Una volta abbiamo sentito gli spari da casa nostra». «In più i giovani non hanno lavoro. Per continuare a studiare o lavorare dovrebbero trasferirsi in altre città, ma non ne hanno la possibilità». Una situazione esacerbata dalla pandemia da Covid-19, spiega ancora la religiosa. «Non c’è nessun tipo di assistenza professionale per chi soffre di ansia o depressione. La città più vicina è a un’ora di auto. Per questo il ruolo della Chiesa è importante, perché è il primo supporto a cui si affida la popolazione». Suor Vivian cita il caso della consorella suor Sonia, che «ora sta facendo un servizio di counseling per i giovani in difficoltà». Perché, qui come a Hong Kong, le nuove generazioni sono il futuro.