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Caro Francesco, ora riposi nell’abbraccio santo di Allah

Padre Franco Cagnasso, missionario in Bangladesh, condivide la lettera di un giovane musulmano: «Perché queste lacrime? Perché hai parlato con il linguaggio universale, il linguaggio dell’amore, della solidarietà e della generosità. Questo linguaggio non si identifica con la religione, ma con l’umanità»

Shamin è un caro amico musulmano del Pime in Bangladesh. Anni fa si è coinvolto nell’iniziativa di fratel Lucio Beninati, che aveva fondato il “Pothoshishu Sheba Shongoton”, un’associazione di volontari che si occupa di bambini di strada, incontrandoli là dove vivono, cioè proprio sulle strade, in varie zone dell’immensa capitale Dhaka. Questi volontari sono di religioni diverse: molti sono studenti, ma ci sono anche impiegati, medici e professionisti vari. Qualche anno fa, fratel Lucio è ritornato in Brasile, dove aveva svolto il suo primo periodo di servizio ai bambini di strada. Ora è Shamin che, terminati i suoi studi universitari, è responsabile di “Pothoshishu Sheba Shongoton” e continua il suo servizio.

Questa sua bella lettera è un incoraggiamento anche per noi missionari a fare in modo che un giorno – nel giudizio – il Signore Gesù possa dire a lui e a noi: «Ero in strada, e siete scesi in strada a cercarmi…».

Caro Francesco,

ora tu riposi nell’abbraccio santo di Allah. Nessun rumore di questo mondo ti raggiunge più. I suoni sono svaniti, ma la tua voce è ancora come un’eco nei cuori di coloro che ti hanno ascoltato. Due anni fa volevo scriverti una lettera. Ho tenuto in me questi pensieri, ma le parole non sono arrivate, fino ad ora.

Tu non eri solo un uomo della Chiesa. Tu eri una rivoluzione di gentilezza e bontà. Tu hai scosso pareti costruite in secoli di silenzi e paure. Nel tuo volto ho visto l’ombra di Gesù – gentile, franco e pieno di misericordia. Tu hai parlato senza paura contro l’ingiustizia, le disuguaglianze, la guerra, il capitalismo, la fede cieca e molti argomenti importanti. Le tue parole, ricche di compassione, hanno riformato la storia e hanno suscitato qualche cosa di sacro in tutti noi.

Caro Francesco, la tua voce è tanto necessaria in questo momento critico. Il genocidio a Gaza da parte di Israele continua, e il silenzio favorisce soltanto l’oppressore. Io sono un musulmano, eppure il mio cuore è rattristato dalla tua morte come se avessi perso un fratello. Perché queste lacrime? Perché hai parlato con il linguaggio universale, il linguaggio dell’amore, della solidarietà e della generosità. Questo linguaggio non si identifica con la religione, ma con l’umanità.

In questo momento ricordo un verso di Rumi: «Quando vedrete portar via il mio corpo, non piangete perché vi lascio, non sto andando, sto arrivando all’amore eterno».

Ecco, questa lettera finisce qui, ma non la mia emozione. Penso che ti scriverò ancora, con la stessa speranza che tu hai dato al mondo.

Tuo fratello

Shamin

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