AL DI LA’ DEL MEKONG
«Evangelii Gaudium» al tempo del Covid

«Evangelii Gaudium» al tempo del Covid

Se la pandemia ha fatto volar via la nostra fede è perché era solo appicciata e non radicata. E allora comprendiamo ancor di più e con animo grato perché in Evangelii Gaudium, io-fede-missione coincidono

 

Il nuovo amministratore della Prefettura Apostolica di Kompong Cham, mons. Bruno Cosme, ha scelto l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium come piano pastorale per i prossimi anni.

Da molti considerato il documento programmatico del pontificato di papa Francesco, anche per noi qui in Cambogia, La gioia del Vangelo costituisce un documento imprescindibile per sognare la Chiesa del futuro. Il nostro ordinario ci ha chiesto pertanto di riflettere personalmente sul testo e di far emergere, nella condivisione tra di noi e nel ministero con i fedeli, qualche eco del suo contenuto.

Pubblicato nel novembre del 2013, il documento riflette una situazione pre-covid con quella sua insistenza ad uscire, a prendere l’iniziativa, a non temere l’odore delle pecore, fino a toccare «la carne sofferente di Cristo nel popolo» (EG 2). Perché non c’è nulla di puramente spirituale, ci ricorda il Papa. «Si pretendono relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schemi e sistemi che si possono accendere e spegnere a comando», mentre invece nella vita tutto è volto e carne, carne e volto. Tatto e contatto.

La pandemia ci sta abituando invece alla distanza e all’oblio parziale dei volti. Oggi ho pranzato con un gruppo di maestre d’asilo impegnate in una due giorni di formazione. Alla fine del pranzo mi sono accorto che una delle insegnanti aveva preferito mangiare appartata rispetto al gruppo. «Perché?», le ho chiesto. «Padre, ho il raffreddore e non vorrei contagiare le altre».

Vero, nulla da eccepire. Eppure mi è dispiaciuto che avesse mangiato in disparte. Se invece si fosse seduta accanto a me, mi sarei sentito meglio e non avrei percepito il suo raffreddore come una minaccia. Non le avrei insinuato il sospetto di essere preoccupato del contagio così come, prima di sedermi, non le avrei chiesto la prova che quel raffreddore non fosse un sintomo da Covid-19. Credo però che episodi simili, paure e sospetti prima impensabili, siano all’ordine del giorno, ovunque. Fino a vivere anche un semplice raffreddore come ragione sufficiente per starsene in disparte, con un senso di colpa che durante le notti insonni, i media insinuano nell’intimo di sé, prima ancora di aver compiuto alcunché di male.

«Non temere, vieni, sta con noi. Non abbiamo paura del tuo raffreddore, non abbiamo paura di te. Vieni!», dovremmo dirci, in momenti in cui tutto concorre a gettare ombre, coprire volti, spegnere cuori.

Qui, nella Prefettura Apostolica di Kompong Cham, sogniamo una Chiesa, una comunità che sappia «superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone» (EG 88). «Fratelli tutti» per dirla sempre con papa Francesco!

Tornando a Evangelii Gaudium n. 88, il Papa raccomanda un percorso molto preciso, quello di una «riconciliazione con la carne degli altri», non quella forte e sana, giovane e possente, bensì con quella ferita e malata. Fosse anche malata di Covid-19.

Se l’indubbia violenza del virus, la distanza per contenerlo, la paura e il sospetto promossi dall’istinto di sopravvivenza, stanno condizionando pesantemente la nostra vita e la nostra fede è perché ci manca ancora qualcosa. «Manca sempre qualcosa – scrive Pasolini – c’è un vuoto / in ogni mio intuire…».

Un vuoto tra di noi, anche nelle amicizie e negli amori più veri. Un vuoto, ora impostoci dal buon senso e dal reciproco rispetto. Ma sempre di vuoto si tratta. Di ferite aperte. Che il poeta vuole smascherare e ricucire perché sente «volgare, questo non essere completo… mai fu così volgare come in quest’ansia, / questo “non avere Cristo” – una faccia / che sia strumento di un lavoro non tutto perduto nel puro intuire in solitudine, / amore con se stessi senza altro interesse / che l’amore…» (1).

È meraviglioso il modo che Pasolini ha di dire il vuoto tra di noi, come un “non avere Cristo”. Quel vuoto ora acuito dalle legittime distanze, dalle mascherine e dal gel disinfettante che pulisce solo le mani, viene forse da più lontano del virus e chiede di essere colmato dalla Sua Presenza. Tra di noi. Se la pandemia ha fatto volar via la nostra fede è perché era solo appicciata e non radicata.

Comprendiamo ancor di più e con animo grato perché in Evangelii Gaudium, io-fede-missione coincidono. Al n. 273 Francesco scrive che «la missione… non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione… Bisogna riconoscere se stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo…». Che sanno mantenere le distanze, eppure riempire il vuoto. E ai quali mancherà sempre qualcosa, ma non Cristo.

 

  1.  P. P. Pasolini, Poesia in forma di rosa, Milano 2015.

Foto: Catholic Church in Cambodia