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Xi e papa Francesco, la misura del potere

Xi e papa Francesco, la misura del potere

IL COMMENTO
Una felice coincidenza Papa Francesco e Xi Jinping insieme negli Stati Uniti. La misura della loro libertà. La libertà di benedire

Papa Francesco è alla sua prima visita negli Stati Uniti. Dal pomeriggio del 22 fino al 27 settembre. Dopo aver lasciato Cuba, con il volo verso l’Andrews Air Force Base a Washington D.C., ha tracciato un ponte tutt’altro che ideale. Sappiamo infatti che il papa ha giocato un ruolo decisivo nel percorso di riconciliazione fra i due Paesi. Negli Stati Uniti, l’agenda del ponteficie è fitta di appuntamenti. Particolarmente attesi la visita al Congresso (sarà il primo Papa a rivolgersi alle due Camere riunite in seduta comune) e all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo seguiremo!

Negli stessi giorni, esattamente come papa Francesco, anche il presidente cinese Xi Jinping si trova negli Stati Uniti. Atterrato martedì 22 settembre a Seattle, ha incontrato una platea di business man, tra i quali i dirigenti di alcune grandi aziende informatiche, Microsoft, Apple e poi Amazon. Ha anche visitato il sito di produzione della Boeing con la quale un gruppo di aziende cinesi ha siglato, in concomitanza con il viaggio, un accordo per l’acquisto di 300 aeromobili.

Papa Francesco e il sig. Xi Jinping, due capi di Stato, insieme, negli Stati Uniti, ma con una differenza, mentre Xi è a capo del più grande Stato del mondo, la Cina, papa Francesco lo è del più piccolo, il Vaticano.
Ora, qui non mi interessano i numeri: se la Cina è davvero il più grande o il Vaticano è davvero il più piccolo. Significativa, piuttosto, è la concomitanza dei viaggi e la sproporzione fra i due Stati e i suoi due leader: l’incommensurabile potere di Xi da una parte, e la semplicità dei gesti di Francesco dall’altra. Forte di un tasso di crescita del 7 per cento, ha detto Xi in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal, la Cina potrà facilmente “raddoppiare, entro il 2020, il pil e il reddito pro capite del 2010”. Quanto al potere politico ed economico non c’è partita.

Lascio da parte, quindi, le considerazioni di quell’ordine, ci penseranno i giornalisti e i politologi. Vorrei considerare piuttosto la misura non del loro potere, ma della loro libertà. Sarebbe troppo facile imbastire una diatriba ideologica e contrapporre i due leader, o aspettare i loro interventi e metterli a confronto; non è questa la direzione verso la quale intendo muovermi. È molto più interessante la misura della loro libertà. Qui, sì, c’è partita.

Francesco ha dalla sua la libertà di poter benedire. Quella benedizione che le ragioni di Stato non consentono. La libertà di parlare così: «Quando, nelle Udienze del mercoledì, passo a salutare la gente, tante tante donne mi mostrano la pancia e mi dicono: “Padre, me lo benedice?”» (Cuba, incontro con le famiglie). Oppure di usare un linguaggio completamente umano, quando descrive le donne in attesa di un bimbo come «incinte di speranza», e parla in diretta a ciascuna di loro affinché «si tocchino la pancia»: «ad ogni bambino o bambina che è lì dentro ad aspettare, do la benedizione. (…) nel nome del Padre e del Figlio  dello Spirito Santo. (…) Accarezzate il bambino che state aspettando».

Sono certo che Xi vorrebbe parlare in questi termini, ma non può. Non solo per le diverse convinzioni religiose o per un diverso ruolo politico, e non pastorale, ma soprattutto perché le ragioni di Stato non glielo consentono. Quelle accrescono forse il potere, ma non la libertà. La libertà di benedire. Qui, sì, c’è partita, l’unica che Francesco può e vuole giocare. Ché un capo di Stato parli alle donne in questo modo è umano. Per chi crede, divino.

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Foto Flickr, Apec 2013