«Il mio Giappone e quello che il Coronavirus dice al mondo»

Padre Andrea Lembo da Tokyo: «L’isolamento non è una situazione nuova per i cristiani giapponesi, fu così anche al tempo delle persecuzioni. E oggi come allora la fede va avanti nelle famiglie. Se guardo però al mondo mi spaventa chi in questa emergenza guarda solo alla salvezza del suo Paese e pensa a questo virus come a qualcosa portato da chi non è dei nostri. Ricordiamoci che il Vangelo parla di una salvezza donata da uno straniero a tutti»

 

Il Giappone è stato uno dei primi Paesi in prima linea nell’emergenza Coronavirus e ancora lo sta affrontando. Come sta vivendo quest’esperienza? Ce lo racconta padre Andrea Lembo, missionario del Pime, parroco nel quartiere di Fuchu, nella grande area metropolitana di Tokyo, e superiore della comunità del Pime nel Paese.   

 

 

Qui in Giappone il Coronavirus come sapete è arrivato su una nave di turisti. Però non è stata quella nave ad iniziare il contagio nella società giapponese: ci sono state altri ingressi, probabilmente turisti o persone di passaggio. Adesso – a parte la nave ormeggiata a Yokoama – abbiamo nella nazione circa 700 infettati. Certamente in Giappone la società è abbastanza preparata a queste cose, per noi le mascherine, disinfettarci le mani, sono cose all’ordine del giorno, non sono state misure al di sopra della quotidianità. Ma è vero che il Coronavirus ha una capacità di infettare le persone molto forte, c’è paura anche qui in Giappone. Il governo ha preso misure molto forti come chiudere le scuole, evitare assembramenti e quindi anche noi come diocesi di Tokyo abbiamo sospeso tutte le celebrazioni per aiutare la società che punta a combattere la propagazione di questo virus. Abbiamo ancora in mente le parole di Papa Francesco che è passato qui alla fine di novembre e ha invitato la società giapponese a difendere e prendersi cura della vita. Ecco perché una decisione così importante doveva essere presa. L’arcivescovo di Tokyo Kikuchi lo ha deciso insieme a noi del consiglio presbiterale. È stato difficile ma è stata una scelta che ha dato valore al Vangelo, al Vangelo della vita.

Anche noi come cristiani, dunque, viviamo in una situazione di isolamento, situazione non nuova per il Giappone: pensiamo ai periodi delle grandi difficoltà delle persecuzioni. Anche allora i cristiani non potevano radunarsi nelle chiese e hanno portato comunque avanti la fede nelle famiglie. Anche oggi i cristiani ci stanno dimostrando in Giappone che la fede va avanti e va rinsaldata nei rapporti familiari. Penso che questo sia bellissimo. Io come parroco mi limito ogni sabato sera a mandare un messaggio vocale sul Vangelo della domenica e a ricevere tante telefonate: divento il centro in questo momento per tenere unita la comunità. Questa è una benedizione, una grazia in un momento così difficile.

Vorrei portare però questa riflessione anche su scala mondiale. In questi giorni stiamo scoprendo che il nostro villaggio comune del mondo è un villaggio che vive insieme: possiamo condividere in maniera velocissima le notizie via internet o sui social network, ma purtroppo oggi ci troviamo a condividere anche una malattia che si sta propagando in una maniera inaspettata. Viviamo una solidarietà umana forte che è fatta di possibilità ma anche di debolezze. Pensiamo a quanto il nostro «primo mondo» sta facendo giustamente notizia per questo Coronavirus. Ma pensiamo anche a quante persone stanno soffrendo in questi decenni per la fame, per le malattie, per l’ebola in Africa. Pensiamo a tutte le persone che stanno scappando dalle guerre. Perché solo questo virus ci sta facendo comprendere che siamo un villaggio comune? Diventa importante riconoscerci in questa solidarietà umana e in questo disequilibrio umano nel quale tante volte viviamo ci troviamo a vivere la nostra quotidianità.

Sì, noi siamo deboli e ci stiamo scoprendo deboli come umanità. Può capitare ed è importante capire che anche all’interno della nostra vita, della nostra natura, ci possono essere queste situazioni di difficoltà. Nello stesso tempo, però, possiamo vivere una solidarietà nella salvezza, una solidarietà nella quale noi come cristiani possiamo comprendere che Cristo ha salvato tutti.

Così vi dico anche sinceramente che sono molto rammaricato e perplesso da alcune parole di persone che sono anche leader delle nostre società – presidenti, governatori, politici, persino uomini di Chiesa – che guardano alla solidarietà e alla salvezza come a qualcosa che tocca solo il nostro Stato. Noi preghiamo la nostra Madonna, guardiamo al nostro Gesù, e consideriamo questo virus come qualcosa di straniero, un virus che viene dalla Cina, da quelli che non sono dei nostri e ci hanno portato questa malattia. Se pensiamo in maniera radicale il Vangelo noi dobbiamo capire che anche la solidarietà nella salvezza è un qualcosa che ci è stata donata da uno straniero: Gesù non era italiano, non era europeo, era un ebreo di duemila anni fa e lui per il suo sacrificio sulla Croce ha portato la salvezza a tutti. Allora come viviamo in questo momento una solidarietà umana nella malattia, cominciamo a pensare a una solidarietà della salvezza che trascende ogni cultura, che trascende ogni religione, perché l’evento di Gesù sulla Croce è stato un evento universale.

Pensiamoci veramente, guardiamo a questo momento come a un momento di grazia. Forse incominciamo a comprendere che il cristianesimo non è solo andare alla domenica a Messa, dove molti di noi in realtà nemmeno andavano più… Adesso ci manca ma non perché lo sentiamo nel cuore, ma solo perché abbiamo paura. Invece il partecipare al banchetto dell’Eucaristia è una comunione di solidarietà; innanzi tutto con il Cristo crocifisso che ha accettato su di sé tutte le fatiche del mondo e le accetta ancora adesso. Mi permetto di ripetere: uno straniero ci ha salvato. Dio ha scelto quella terra, quel momento, che grazie a Dio non era la nostra terra e il nostro momento.

Pensiamoci. Mi è piaciuta molto una telefonata che ho ricevuto proprio ieri sera da un giovane della mia comunità che mi ha detto: “Ringrazio Dio di essere cristiano, perché in questo momento ho capito che devo essere vicino non soltanto al mio popolo, ma a tutto il mondo che sta soffrendo”.

Vi ringrazio anch’io e vi ricordo nella preghiera.