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La guerra con gli occhi della fede

A Milano gli scatti di quattro fotografi del collettivo Memora raccontano i conflitti di oggi attraverso le storie e gli sguardi delle comunità religiose

Le immagini della guerra, con i suoi orrori e le sue follie, sono tornate a entrare ormai quotidianamente nelle nostre case. Ma in questi squarci terribili spesso capita che l’obiettivo incroci anche simboli e gesti religiosi. Un contrasto che molte volte parla della strumentalizzazione del nome di Dio; ma tante altre – al contrario – diventa anche un’ultima riserva di umanità, là dove tutto sembra orami perduto. Lo racconta bene in queste settimane a Milano una mostra inaugurata lo scorso 27 ottobre e che resterà aperta fino alla prossima primavera. Si intitola “Fede e guerra” e raccoglie 66 scatti che quattro giovani fotografi – Marco Cremonesi, Davide Canella, Carlo Cozzoli e Alessandro Cimma, riuniti nel collettivo Memora – hanno realizzato in alcuni reportage rea­lizzati in questi ultimissimi anni in Siria, Armenia, Libano, Myanmar e Nigeria, ovvero cinque Paesi che, come sappiamo, hanno vissuto o stanno ancora vivendo il dramma di un conflitto.

Gli autori non sono reporter specializzati nella copertura dei campi di battaglia: il loro lavoro quotidiano è fatto di servizi tra cronaca ed eventi che accadono a Milano. Ma, proprio per questo, ad accomunarli nel progetto è la volontà di entrare nei contesti segnati dalle ferite del nostro tempo con uno sguardo più attento all’umano.

Memora pone infatti al centro della sua narrazione le storie dei singoli: i suoi fotografi vanno alla ricerca delle sfumature e varietà pressoché infinite della vita delle persone, per raccontare davvero la società e il mondo intero. Ed è dunque con questo sguardo che si sono ritrovati a confrontarsi anche con la dimensione religiosa. «La fede è un tema impossibile da ignorare quando si affrontano i reportage di guerra – scrivono gli autori nella presentazione della mostra -. Fin dalla nascita delle civiltà, le religioni sono state usate, distorte e piegate per giustificare conflitti, discriminazioni e massacri. Ma nelle situazioni di crisi, dove la vita delle persone è costantemente a rischio, allo stesso tempo la fede trova spazio e regala speranza».

Questa prospettiva ha incontrato l’interesse della Fondazione Culturale Ambrosianeum, storica realtà culturale cattolica nata nel cuore di Milano nel 1948, per intuizione del cardinale Schuster e di personalità come Enrico Falck e Giuseppe Lazzati. Oltre a credere nel progetto dei fotografi di Memora, l’Ambrosianeum ha messo loro a disposizione un luogo suggestivo: la propria sede di via delle Ore 3, una rotonda decagonale del Cinquecento a ridosso dell’arcivescovado, letteralmente a due passi dalla guglia con la Madonnina. Il cardinale Carlo Borromeo l’aveva commissionata all’architetto Pellegrino Tibaldi per alloggiare le scuderie vescovili; oggi è un crocevia di cultura e cittadinanza attiva, che come tale non poteva rimanere indifferente alla sete di pace che attraversa il mondo odierno.

Il percorso di “Fede e guerra”, oltre a quelli dell’arcidiocesi di Milano e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha pure il patrocinio del Centro missionario Pime, che anche attraverso le pagine di questa rivista con lo stesso sguardo ha raccontato le ferite e il coraggio di chi lotta per un futuro diverso in questi e in altri Paesi attraversati dalla guerra. Immergendosi nelle immagini esposte alla rotonda di via delle Ore, si incontrano gli agricoltori della Nigeria che si recano a Messa consapevoli del rischio degli assalti delle milizie di Boko Haram o dei pastori fulani. Ma anche i simboli cristiani distrutti dal conflitto nel corridoio di Lachin, tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Le rovine delle chiese devastate, accanto alla fede viva delle celebrazioni nel monastero di Deir Mar Musa, ricostruito in Siria da padre Paolo Dall’Oglio, prima di finire lui stesso tra le migliaia di persone sparite nel nulla a causa della guerra. E poi i rosari dei cristiani libanesi a fianco delle immagini di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah ucciso in un raid israeliano nel settembre 2024. Fino ai giovanissimi buddhisti e cristiani dello Stato Kayah in Myanmar, che combattono nella giungla contro l’esercito birmano che nella sua repressione non risparmia scuole, templi e chiese.

La mostra resterà aperta fino al 5 aprile 2026 (ingresso libero, sabato e domenica dalle ore 11 alle 18 e nei giorni feriali su prenotazione a memoracollective@gmail.com). Ma ad arricchire l’iniziativa è anche un calendario di incontri con ospiti e testimoni che, insieme ai fotografi, porteranno le loro esperienze e riflessioni su ciascuno dei cinque contesti di guerra presentati. Si comincia mercoledì 17 dicembre con Davide Canella che presenterà il suo lavoro dedicato alla Siria. Il ciclo proseguirà il 19 gennaio con l’intervento di Carlo Cozzoli sul Myanmar; il 26 febbraio Alessandro Cimma racconterà il Libano; il 17 marzo sarà la volta della Nigeria, ancora con Carlo Cozzoli; infine, il 31 marzo, Marco Cremonesi interverrà sull’Armenia.

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