Fede e fumetti contro la depressione

Pietro Zhou ha trovato la via dell’arte per parlare del disagio mentale dei giovani in Cina. In Italia per gli studi, spera di portare in patria la tecnica del mosaico
Depressione, fede, speranza. Sono questi alcuni dei temi trattati dall’artista cattolico cinese Zhou Qixin nei suoi fumetti. Poche semplici immagini, con una riga di accompagnamento in cinese e in italiano, le sue opere, raccolte nella mostra “Vita vuota”, negli ultimi mesi hanno fatto il giro in varie parti d’Italia per raccontare il disagio mentale che affligge molti giovani, in Cina come in Italia. Pietro – il nome ricevuto al battesimo – oggi ha 30 anni e vive a Milano, ma è originario della provincia di Herbin, nota meta turistica invernale al confine con la Russia e la Mongolia. Laureatosi alla Naba (Nuova accademia di belle arti) nel capoluogo lombardo, ha deciso di trattare il tema della depressione dopo averla vissuta in prima persona fin da bambino. Un argomento difficile da trattare, soprattutto in Cina, dove resta una patologia misconosciuta, nonostante affligga circa il 35% dei giovani. La situazione si è aggravata in particolar modo con la pandemia nel 2020 e la scelta del governo cinese di mantenere per anni la cosiddetta politica “zero Covid”.
I fumetti di Zhou hanno un carattere minimalista e intuitivo; spesso non includono le classiche nuvolette che rappresentano il discorso parlato. Quello dell’artista è un viaggio interiore, in cui la fede spesso ricopre un ruolo centrale. I suoi disegni, raccolti in quattro vignette per episodio, «non hanno un linguaggio ma hanno un’anima», si legge nell’introduzione dell’artista al suo portfolio, che presto, si spera, diventerà un libro vero e proprio intitolato “Soul”, anima, appunto.
A salvarlo da un contesto cinese sempre più opprimente è stata la sua fede: «In Cina viviamo come se mancasse sempre qualcosa. Sono cresciuto vedendo mia madre lavorare sempre per avere più denaro per mangiare, ma anche quando poi la nostra situazione economica è effettivamente migliorata, c’era sempre, latente, qualche ragione di insoddisfazione», racconta il giovane. «Nonostante diversi casi di suicidio, in Cina non si vuole ammettere che ci sia un problema di disagio mentale: pochissimi si affidano a uno psicologo perché l’argomento è ancora tabù».
È anche grazie al Pime se Pietro Zhou è potuto venire in Italia: «L’amministratore apostolico della mia città mi mise in contatto con il seminario di Monza, dove sono arrivato per la prima volta nel 2014», spiega il fumettista. «In realtà poi ho capito che il sacerdozio non era la mia strada. Ho imparato molte cose, ho approfondito la mia fede, ma avevo un altro talento, quello del disegno». Dopo un anno in Italia, Zhou torna in Cina. Ma mantiene i contatti con l’Italia, in particolare con don Alessandro Vavassori, responsabile della pastorale missionaria di Rho. E così Pietro torna a Milano per frequentare la Naba, dove si laurea con il massimo dei voti in Design della comunicazione. Poi prosegue gli studi con un master in terapeutica artistica all’Accademia di Brera, che però non porta a termine: «C’erano troppe ore di lezioni teoriche, sentivo il bisogno di fare qualcosa di più pratico». Affascinato dall’arte religiosa in Italia, Pietro ha virato sui mosaici, frequentando un corso di perfezionamento al Centro Aletti di Roma.
Alle sue mostre ha cominciato a portare, oltre ai fumetti, anche lavori realizzati con le tessere colorate, che, a differenza dei disegni, in questo caso spesso ritraggono soggetti religiosi. «Non prevedo di restare ancora a lungo in Italia», ammette Pietro, con un accenno di nostalgia. «Il mio sogno, ora, oltre a pubblicare un mio primo libro, sarebbe quello di portare l’arte del mosaico in Cina. Vorrei poter realizzare lì i miei lavori mettendomi a servizio della Chiesa in questo modo». Quando porta i suoi fumetti in giro per l’Italia, Pietro Zhou vende anche piccoli gadget come adesivi e portachiavi. Anche in Cina alcuni suoi disegni sono diventati popolari sulle piattaforme social, in particolare su Xiaohongshu (letteralmente: “piccolo libretto rosso”, un’applicazione che è un misto tra TikTok e un marketplace dove fare acquisti). «In Cina sono anche riuscito a vendere alcuni dei miei disegni». Nonostante le difficoltà legate alla depressione, al fatto di appartenere a una minoranza religiosa in Cina e all’apprendimento della lingua in Italia, è sempre stata la madre a incoraggiarlo ad andare avanti: «Mi ha cresciuto da sola perché mio padre è morto quando ero piccolo. Sono figlio unico, per cui le manco molto. È da circa cinque anni ormai che non la vedo».
Oltre ai fumetti e ai mosaici, Pietro Zhou porterà con sé anche decine di disegni delle cattedrali, piazze e stazioni. Quando viaggia per le mostre, cerca sempre di trovare il tempo di fermarsi a disegnare i più noti monumenti storici delle città italiane per poi postare il lavoro terminato sui social: «Amo le cattedrali perché in Cina se ne vedono pochissime». In patria, i disegni di Pietro Zhou potranno forse restituire un po’ di speranza a chi, come lui, dopo aver vissuto una “vita vuota”, si è ritrovato con l’anima piena.
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