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Icona decorativaIcona decorativa13 Giugno 2025 Alberto Caccaro

Ecco le madri, la loro fede, la loro morte che è ancora vita

In questi anni ho constatato, qui in Cambogia, come la storia della Chiesa, in talune circostanze, sia semplicemente coincisa con la storia stessa e la biografia di donne credenti come Teresa.

«Distinguevo subito […] mia madre
[…] e il cuore, qualsiasi cosa avessi fatto,
mi si rifaceva subito innocente».[1]

Lo scorso 10 giugno, nel trentesimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, mi sono ritrovato al capezzale di una mamma, nelle sue ultime ore di vita. La mattina di quello stesso giorno avevo celebrato l’Eucarestia presso la casa delle Missionarie della Carità di Madre Teresa dove mi reco abitualmente e, senza dire nulla dei miei trent’anni di messa, avevo ricordato in cuor mio tutti i compagni ordinati sacerdoti il 10 giugno di trent’anni prima dall’allora arcivescovo di Milano, card. Carlo Maria Martini. Nel pomeriggio, invece, ho voluto recarmi al capezzale di quella mamma alla quale non sarebbero rimasti molti giorni. Mi sono fermato presso di lei il tempo necessario per ringraziarla – anni fa aveva lavorato per la Chiesa di Kompong Cham dove allora mi trovavo, ancora imberbe, a studiare la lingua Khmer ed avevo goduto della sua cura materna – poi per chiedergli perdono d’ogni mia mancanza e trascuratezza nei suoi confronti ed, infine, per pregare con i suoi figli e chiedere al Signore la grazia di un distacco sereno e nella pace.

La sera di quello stesso giorno, il 10 giugno 2025, poche ore dopo il nostro incontro, Teresa Suon Buntha è spirata, all’età di 66 anni. Nell’incontrarla in quell’ultimo frangente, lei ormai incosciente – anche se non si può mai dire quello che accade nell’anima di chi vive il transito – del tutto tranquilla e ben preparata al congedo, ho chiesto ai figli di recitare l’Ave Maria. Non una, ma tante volte, fino all’ultimo respiro. Mi era già successo con mia mamma. Di trovarmi al suo capezzale e di recitare tante Ave Maria per accompagnarne l’agonia. Grazie a lei, prossima alla fine, ebbi la certezza che ciascuna Ave Maria recitata al capezzale di una persona morente diventa come il gradino di una scala che ne porta l’anima in Cielo. Così, accanto a Teresa abbiamo fatto lo stesso e ho raccomandato ai figli di proseguire anche dopo, tanto più al sopraggiungere della fine. Recitare questa semplice e potente preghiera della pietà cristiana avrebbe significato, in quel momento, fare alla mamma una scala che l’avrebbe aiuta a salire: gradino dopo gradino, Ave Maria dopo Ave Maria, fino al Cielo!

Scrivo di lei, Teresa, perché insieme al marito e ai figli, è stata una figura decisiva della nascente Chiesa cattolica di Kompong Cham. In questi anni ho constatato, qui in Cambogia, come la storia della Chiesa, in talune circostanze, sia semplicemente coincisa con la storia stessa e la biografia di donne credenti come Teresa.

Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso bastavano le dita di una mano per contarci. Si era all’inizio e, con la guerra e i Khmer Rossi alle spalle, la Cambogia stava cercando di rialzarsi dopo anni di penuria e miseria. Donne tenaci come Teresa furono decisive non solo per la rinascita del Paese ma, come nel suo caso, anche della rinascita della Chiesa cattolica cambogiana! La sua decisione di ricevere il battesimo, infatti, fu letteralmente una botta di vita per quella piccola comunità cristiana. Anzitutto perché in quell’occasione furono in quattro, lei, il marito e due figli. E poi perché nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo nel frattempo e dopo quei primi passi. Ma procediamo con calma, così da rendere giustizia alla vita di questa donna, semplice e credente, moglie e poi mamma, di figli e anche di cristiani!

Quarta di dodici tra fratelli e sorelle, Teresa ha patito la guerra, la fame e l’indigenza ma questo non gli ha impedito di trovare la propria strada. Sul finire degli anni ’70 i Khmer Rossi erano soliti combinare le coppie in modo arbitrario e celebrare matrimoni collettivi. Nel suo caso, fu data in sposa a Chour Sokthy, allora giovane buono e mansueto, con il quale grazie a Dio le cose andarono bene. Anzi benissimo! Diedero alla luce 4 figli tra i quali Damó, terzogenito che, anni dopo, nell’agosto del 2023, con l’ordinazione sacerdotale, sarebbe diventato il primo sacerdote gesuita cambogiano. Non solo, in quegli anni di rinascita, ai suoi 4 figli, per un certo periodo si unì anche una sua nipote, figlia di una certa Bunnath, altra “donna e colonna” della Chiesa cattolica di Kompong Cham. Bunnath, non avendo latte a sufficienza per la sua terzogenita, Naeth, chiese a Teresa di farle da balia e di allattarla. Ebbene, Naeth, ben cresciuta dalla zia Teresa, dopo il battesimo decise di entrare tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, perseverando sino alla professione religiosa definitiva con la quale divenne ufficialmente la prima suora salesiana di origine cambogiana. La prima in assoluto! Come Damó, prete tra i Gesuiti.

Qualche anno prima, in realtà, anche una sorella minore di Teresa, ormai adulta, intraprese, dopo il battesimo, il cammino verso la consacrazione. Si tratta di suor Tharin, grazie alla quale, con l’amica suor Songwath, riportarono in vita un ordine religioso locale, le Suore Amanti della Croce che ad oggi conta una decina di suore.

Da questo breve racconto si comprende come al capezzale di quella donna, nel trentesimo della mia ordinazione sacerdotale mi trovassi di fronte ad una pagina decisiva della storia della Chiesa cattolica che è in Kompong Cham. Nel morire di Teresa ho percepito la bellezza di una vita spesa in semplicità e senza titoli. Teresa ha saputo generare una famiglia e contemporaneamente una Chiesa senza alcuna distanza tra i due universi, anzi sostenendosi reciprocamente.

Prima che la bara fosse chiusa e sigillata, Damó, il figlio gesuita, ha voluto coprire il volto della madre con un panno bianco, lo stesso che aveva utilizzato per tergere le sue mani appena dopo essere state unte con il sacro crisma dal vescovo durante il rito della sua ordinazione sacerdotale. Qualcosa di molto simile al rito della velatura, in occasione delle esequie di papa Francesco. Velo bianco, velo di purezza, con il quale Teresa si presenterà al cospetto di Dio.

Ho aperto questo racconto con le parole di Mario Tobino, medico, poeta e scrittore italiano che, ormai famoso, quando tornava al paese a trovar l’anziana madre gli «dicevano che era in chiesa» e andava là a cercarla. «Attraversata la piazzetta, sempre calda di conversari, salivo verso la volta umida di muschio, per l’entrata laterale; richiusa la porta, facevo l’accenno di segnarmi […]. Distinguevo subito il bianco dei capelli di mia madre, nella prima panca a sinistra, che, subito avvertita, si alzava, mi sorrideva, e il cuore, qualsiasi cosa avessi fatto, mi si rifaceva innocente».

Ecco le madri, la loro fede e la loro morte che è ancora vita.


[1] Sono parole di Mario Tobino (1910-1991), psichiatra, scrittore e poeta italiano, in La brace dei Biassoli, Mondadori 2019.

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