Morto padre Vendramin, primo missionario a Phnom Penh dopo Pol Pot

Morto padre Vendramin, primo missionario a Phnom Penh dopo Pol Pot

Nel 1990 erano state le suore di Madre Teresa a ottenere che potesse risiedere con loro per celebrare la Messa. Missionario del Pime, appena arrivato scriveva: “Tutta la Cambogia è stata ridotta a un campo di lavori forzati”. Per 30 anni ha accompagnato la rinascita della piccola Chiesa locale

 

La Chiesa cattolica della Cambogia piange il suo pioniere dopo gli anni di Pol Pot. All’età di 78 anni è morto ieri sera padre Toni Vendramin, missionario italiano del Pime, che nel 1990 era stato il primo sacerdote a rientrare stabilmente nel Paese dopo gli anni del terrore. Era ricoverato da alcune settimane al Royal Phnom Penh Hospital per una polmonite batterica.

Nativo della provincia di Treviso, sacerdote dal 1969, p. Vendramin era stato per 15 anni missionario in Bangladesh, prima di partire per la Cambogia proprio quando il governo dei khmer rossi aveva lanciato i primi segnali d’apertura. “Le suore di Madre Teresa – ricordava l’anno scorso in un’intervista a Mondo e Missione – erano state invitate dal governo: volevano ritornare stabilmente, ma cercavano un sacerdote per accompagnarle. Avevano incontrato un missionario francese, p. Emile Destombes (il futuro vicario apostolico di Phnom Penh, scomparso nel 2016 ndr) che era lì per due o tre mesi con un visto da cooperante. Come lui un altro missionario di Maryknoll, p. Tom Dunleavy. Altri preti non ce n’erano. Le suore dicevano al governo: torneremo in Cambogia, ma vogliamo la garanzia di avere un sacerdote con noi per dire la Messa”.

Il 23 novembre 1990, insieme a quattro religiose delle Missionarie della Carità, p. Vendramin si è imbarcato da Hong Kong su un volo per Phnom Penh. “Siamo arrivati senza visto, ma con una lettera di invito del primo ministro Hun Sen; all’aeroporto non sapevano che cosa fare”, raccontava p. Toni. “Tutta la Cambogia era ridotta a un campo di lavori forzati e di sterminio del suo stesso popolo, in nome di un’ideologia aberrante e criminale”, scriveva il sacerdote pochi giorno dopo in una lettera indirizzata agli amici.

Il governo cambogiano avrebbe voluto far aprire alle Missionarie della Carità una casa per i mutilati dalle mine; le suore però non se la sentivano. Hanno iniziato così a raccogliere gli ammalati o i mendicanti che dormivano per strada; poi si sono prese cura dei bambini abbandonati o malati di Aids. “Di chiese non ce n’erano, ci si trovava nelle case private a celebrare la Messa”, ricordava ancora p. Vendramin. “Alla fine del 1990 siamo riusciti ad avere indietro un dormitorio del seminario minore: è lì che abbiamo celebrato il primo Natale, un’esperienza fortissima”. Ma era un’attività segnata ancora da molte restrizioni: “Non potevo muovermi oltre un raggio di 20 chilometri da Phnom Penh”, spiegava il religioso. “Solo con l’arrivo delle Nazioni Unite per le elezioni del 1993 la libertà di movimento è migliorata e si è potuto iniziare anche a riorganizzare la Chiesa”.

Negli ultimi anni p. Vendramin aveva guidato la parrocchia di San Pietro, nella zona dell’aeroporto. Finché il governo lo ha permesso una volta al mese si recava anche in carcere a fare visita ai detenuti. “Venire qui – diceva l’anno scorso, tracciando un bilancio dei suoi 30 anni in Cambogia – è stata per me un’esperienza molto profonda. A Phnom Penh tutto è cambiato: dove c’erano solo due o tre strade asfaltate oggi ci sono grattacieli di 40 piani costruiti dai cinesi. Ma le ferite del passato restano, più o meno aperte o nascoste. Quanto alla presenza cattolica, in tutte le missioni oggi c’è l’asilo, a volte la scuola elementare. Insieme a strutture di base, case per i disabili, altre iniziative sociali sia a livello diocesano che nazionale. La città è cresciuta, ma a piccoli passi sta crescendo anche questa piccola nostra Chiesa”.