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Con l’Amazzonia nel cuore

È venuto fin qui per dirci che Dio non ci ha dimenticati. Dal Sinodo del 2019 alla scelta del primo cardinale amazzonico, ha lasciato un ricordo indelebile

In Amazzonia siamo grati a Papa Francesco per aver volto il suo sguardo e quello della Chiesa universale verso questa terra. Uno sguardo che nasce dall’esempio di Gesù, che va sempre all’altra riva. E Francesco è venuto a questa riva, quella amazzonica, per dirci che Dio non ci ha dimenticati, per incoraggiarci ad andare avanti nell’annuncio del Vangelo, nonostante le tante sfide che incontriamo.

Sentii forte questo incoraggiamento quando, nel 2015, ricevetti, con mia enorme sorpresa, una missiva firmata da Francesco per ringraziarmi del libro sul vescovo gesuita monsignor Luciano Mendes di Almeida, che attraverso il cardinale Claudio Hummes gli avevo inviato. Il Papa mi scrisse, tra l’altro: «Grazie per il servizio che sta svolgendo dal 2007 nell’Amazzonia brasiliana, tra le persone bisognose. In realtà sono loro che ci arricchiscono con la gioia del Vangelo e ci portano a crescere e maturare nella fede». Quel «grazie», che custodisco tra i ricordi più belli della mia vita missionaria, non l’ho mai interpretato in chiave personale, ma come un abbraccio paterno dato a tanti missionari e missionarie che si spendono negli angoli più sperduti della regione.

La vicinanza di Papa Francesco non è cessata la mattina dello scorso 21 aprile. Da queste parti il suo ricordo resta indelebile, come “uno di casa”, per i suoi numerosi appelli e gesti in favore dell’Amazzonia. Nei nostri fiumi naviga un poliambulatorio fluttuante donato da lui, il “barco-hospital Papa Francisco”, che permette a molti riberinhos – cioè coloro che abitano lungo i fiumi – di ricevere assistenza medica in tempi brevi e senza dover affrontare difficili spostamenti.

Inevitabilmente, il pensiero corre anche al Sinodo per l’Amazzonia del 2019. Forse pochi sanno che quell’iniziativa non nacque a Roma, bensì nell’arcidiocesi di Belém, da dove un gruppo di vescovi inviò per iscritto una richiesta al Pontefice. La risposta non si fece attendere e fu positiva. Il Papa argentino non solo approvava l’idea, ma voleva che i lavori sinodali avvenissero a Roma, rafforzando così il legame tra la periferia e il centro, secondo il suo stile. Era anche un modo per dire al mondo che tutta la Chiesa, sul percorso tracciato dalla Gaudium et Spes del Concilio Vaticano II, faceva sue le gioie e le speranze, le tristezze e le angustie delle popolazioni amazzoniche, al cui ascolto ci volle sin dalla fase pre-sinodale. Alla fine Francesco ci regalò l’Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia, in cui c’è il suo pensiero per, su e dall’Amazzonia a tutta la Chiesa, con l’auspicio di «donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici» (QA 7). Per questo nel 2021 eresse canonicamente la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (Ceama), con l’obiettivo di «promuovere l’azione pastorale comune delle circoscrizioni ecclesiastiche e incentivare una maggiore inculturazione della fede nel suddetto territorio» (Nota della Congregazione per i Vescovi).

Lo scorso 7 maggio, per la prima volta nella storia della Chiesa, un cardinale proveniente dalla regione amazzonica, il metropolita di Manaus Leonardo Ulrich Steiner, è entrato in conclave. Fu proprio Francesco, nel 2022, a volergli imporre la berretta rossa, per dirci ancora una volta, casomai non l’avessimo capito, che l’Amazzonia gli stava proprio a cuore.

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