Nuovi pionieri della missione

Nuovi pionieri della missione

Il Pime si arricchisce di vocazioni dai Paesi tradizionalmente di evangelizzazione. L’esperienza di padre Phongphan, primo missionario thailandese oggi a Hong Kong

 

Quattro fratelli: uno missionario, uno prete, una suora e uno sposato. La fede come cemento delle relazioni, delle scelte, dello stile di vita di un’intera famiglia. È quanto ha sperimentato padre Phongphan Wongarsa, primo missionario thailandese del Pime, ordinato sacerdote nel 2017. Eppure non è stato tutto così semplice e lineare, come spesso succede nei cammini di vita donata al servizio del Vangelo e del prossimo. Quel che è certo è che padre Phong – come viene familiarmente chiamato – è stato un pioniere per il Pime, che quest’anno celebra i cinquant’anni di presenza in Thailandia. Ma non è cresciuto in una missione del Pime. È originario, infatti, della diocesi di Ubon Ratchathani, al confine con il Laos, dove il cristianesimo è arrivato oltre 120 anni fa grazie alle Missioni estere di Parigi (Mep). «Da bambino – ricorda padre Phong che attualmente vive a Hong Kong – sono entrato nel seminario diocesano, dove per sei anni ho frequentato le scuole medie e superiori. Da lì, ho chiesto di entrare nella comunità dei fratelli monfortani dove sono rimasto per tre anni. Ma ho capito che non era la mia strada. Avevo passato quasi tutta la mia vita in seminario. Ma c’erano domande che rimanevano irrisolte».

A quel tempo, stava seguendo un corso di catechesi a Bangkok e uscire dal seminario significava cercarsi una casa e un lavoro per vivere. «Avevo conosciuto padre Adriano Pelosin che, in quel periodo, si occupava di bambini orfani. Si è fidato subito di me, senza farmi troppe domande. Anzi, mi ha proposto, una volta terminati gli studi, di mandarmi in Italia per laurearmi in Scienze dell’educazione. Sono rimasto molto sorpreso. Quel suo modo di accogliermi e di fidarsi di me mi è rimasto dentro». Inaspettatamente, quel lavoro con i bambini lo coinvolge molto. «In loro c’era una grande mancanza, quella dei genitori, della mamma… Una mancanza che spesso non sapevano neppure esprimere. Cercavo di stargli accanto come un fratello. Questo ha fatto maturare in me una sorta di chiamata, un desiderio di condividere la mia vita e di offrirla agli altri». Nel frattempo, conosce diversi missionari del Pime nella parrocchia di Nonthaburi (ora consegnata alla diocesi). Ne apprezza in particolare lo spirito di accoglienza. «Con padre Marco Ribolini, poi, abbiamo visitato varie comunità e ho toccato con mano lo stile di vita dei missionari. La prima cosa che mi ha colpito era proprio la loro capacità di donare sempre un sorriso e di far sentire chiunque ben accetto».

Con questi pensieri nel cuore, Phong viene in Italia nel 2007, ospite di un prete nei dintorni di Bologna, don Antonio Curti, che lo accoglie come un figlio. «Da quel giorno la mia stanza è sempre lì!», ricorda volentieri. Dopo venti giorni di studio della lingua italiana comincia i corsi in università. Senza capire nulla. «Alla fine del primo anno, ho fatto solo un esame: quello di inglese!».
«Mi chiedevo che cosa stessi facendo lì. E non solo per le difficoltà negli studi in italiano. Forse non volevo semplicemente diventare un educatore. Pregavo spesso: “Signore: aiutami a capire quale via devo seguire per vivere secondo la tua volontà”. Cominciavo a pensare che forse avrei potuto dedicare la mia vita ad altri e in altre parti del mondo».
Phong confida a don Antonio di voler tornare in seminario. Il prete è commosso e chiama subito padre Pelosin e padre Livio Maggi che, a quel tempo, era vicario generale del Pime a Roma. «Sono andato a trovarlo – ricorda – e mi ha fatto moltissime domande. Mi ha consigliato di finire l’università e di vederci ogni due mesi. Nel secondo anno ho recuperato tutti gli esami che dovevo fare. All’inizio del terzo, padre Maurizio Arioldi mi ha chiamato per dirmi che mi accettavano in seminario. Ero felicissimo! Finalmente sarei potuto diventare un missionario. Ho sentito come un brivido!».

La sua nuova vita nel seminario internazionale del Pime è fatta di tanti incontri e belle amicizie, ma anche di sfide, come quella di confrontarsi con culture, tradizioni, modi di vivere la fede diversi. «Per me è stato molto stimolante: un’esperienza che mi ha davvero interpellato e che mi ha fatto assaporare anche la bellezza di vivere il senso di comunità».
Si fanno strada anche nuovi orizzonti e desideri di missione: Papua Nuova Guinea e Amazzonia, in particolare: «Perché per me essere missionario significava soprattutto vivere nei posti più remoti». Viene invece destinato a Hong Kong, dove arriva nel gennaio del 2019, all’indomani della morte del vescovo e alla vigilia di oceaniche manifestazioni e poi della pandemia di Coronavirus, che continua a condizionare anche la vita della comunità cristiana di questa grande metropoli.

«Tante cose sono state trasferite on line, molte attività sono state cancellate – dice padre Phong, che si trova nella parrocchia di St Joseph, nei Nuovi Territori, dove è parroco padre Pietro Paolo Dossi -: tuttavia, dal momento che mi occupo soprattutto dei giovani, si riescono comunque a mantenere vive attività e relazioni anche se a distanza». «Nonostante tutto – riflette – è un’esperienza molto bella. La comunità cattolica di Hong Kong è molto vivace e ci sono tanti catecumeni. Significa che la testimonianza di fede continua a dare frutti. Mi piacerebbe che un giorno fosse così anche nella mia terra di origine». MM