Brasile, il coronavirus avanza anche tra gli indios

Brasile, il coronavirus avanza anche tra gli indios

Anche l’Amazonas tra gli Stati più colpiti in Brasile, dove complessivamente le vittime del Covid 19 hanno superato quota 2000. E intanto Bolsonaro licenzia il ministro della Sanità Mandetta che si opponeva al suo approccio minimalista ai rischi dell’emergenza

 

In Brasile la crisi sanitaria legata alla diffusione del coronavirus si sta facendo sempre più pesante. E a pagare il prezzo più alto sono le fasce più deboli, tra cui le popolazioni indigene che vivono nell’immensa foresta Amazzonica. Cresce infatti il numero degli indios contagiati dal virus, così come quello dei morti. Lo Stato dell’Amazonas è tra i più colpiti. Al 17 aprile contava 1809 casi di infezione e 145 morti. Tra questi anche alcuni indios che vivono nelle aree più remote: secondo quanto diffuso nelle ultime ore dalla Secretaria Especial de Saúde Indígena (Sesai), gli indigeni colpiti dal virus sono 23, il 95 per cento dei quali risiede proprio nello Stato dell’Amazonas (ben 12 casi nell’area di Manaus e Parintins dove opera il Pime).

INDIOS. C’era chi aveva già preannunciato una possibile “strage”. Sofia Mendonça, ricercatrice dell’Università Federale de San Paolo (Unifesp) non si era tirata indietro parlando addirittura di un possibile “genocidio indios”: “La principale causa di morte tra gli indigeni sono proprio le malattie respiratorie. Se il virus arrivasse nei villaggi sarebbe una strage, anche perché chi vive là non ha possibilità di isolarsi e non ci sono misure igieniche adeguate”, aveva detto la ricercatrice alla Bbc. Ieri è stata segnalata la morte di un leader satere mawé nella comunità di Sao Bendido a Maues. Nei giorni scorsi aveva fatto scalpore la notizia della morte (nello Stato di Roraima) di un 15enne della tribù yanomami, popolazione che vive al confine tra Brasile e Venezuela e che negli ultimi giorni aveva più volte denunciato l’avanzamento dei “minatori illegali”, soprattutto dei cercatori di oro che sono praticamente il principale veicolo di diffusione del virus tra quelle popolazioni. Perché anche in piena emergenza c’è chi se ne approfitta. Così, in nome di una tutela di queste tribù, la Justiça Federal dello Stato dell’Amazonas è arrivata a proibire anche ai missionari di contattare le popolazioni indigene e introdursi nei loro territorio.

BOLSONARO. Intanto, a livello politico, continua a mancare un “disegno” preciso per affrontare l’emergenza. Il Presidente della Repubblica, Jair Bolsonaro, giovedì 16 aprile ha dimesso il Ministro della Salute, Luiz Henrique Mandetta, con il quale si era più volte scontrato negli ultimi giorni. Mentre Bolsonaro rilasciava interviste dicendo che si trattava di una semplice influenza stagionale, Mandetta cercava di difendere le misure di isolamento e di coordinare le attività sanitarie e di ricerca sul territorio nazionale. La lite politica è arrivata al culmine e Bolsonaro ha dato il ben servito a Mandetta, scegliendo come sostituto Nelson Teich, medico e imprenditore che secondo la stampa locale è pienamente allineato con le idee del presidente.

CAOS. Bolsonaro è tornato a ripetere che si devono riaprire le scuole, perché “non ci sono notizie di bambini colpiti dal virus, ma solo di anziani”. Continuando peraltro la battaglia politica con i Governatori degli Stati che più gli si sono opposti. Doria, a capo dello Stato di San Paolo che è il più colpito dal virus, ha preannunciato che la quarantena potrà essere estesa nuovamente e durare fino a maggio, perché oltre il 50 per cento dei paulisti non sta rispettando le misure minime previste per il contenimento del contagio.

LIMITE. Il picco, secondo gli esperti, deve ancora arrivare. Ed è previsto tra circa 10 giorni. Ma il sistema sanitario è già al collasso. Il Daily Mail ha fatto circolare un video in cui si vedono, all’interno dell’ospedale di Manaus, cadaveri lasciati sui lettini a fianco di pazienti intubati che stanno lottando tra la vita e la morte. Il Governatore del Cearà ha annunciato che i posti in terapia intensiva sono già tutti occupati (169 su 169 con 2684 casi confermati al 17 aprile) e che quindi il sistema non è già più in grado di continuare questa battaglia. Nello Stato di Rio de Janeiro, il secondo più colpito, quasi il 90 per cento dei posti letto in terapia intensiva è già occupato (548 su 619 disponibili), mentre crescono contagi e vittime. Lo stesso vale per lo Stato di San Paolo e in particolare la sua capitale, il focolaio più grande di tutto il Paese. Al 17 aprile complessivamente il Brasile contava 33682 casi e 2141 morti. Ma molto probabilmente i numeri reali sono ancora più alti: nell’ultima settimana solo nella città di San Paolo si sono registrati centinaia di decessi, soprattutto di anziani, per “polmonite”.