Dal mondo per il mondo

La predilezione di Francesco per le periferie geografiche ed esistenziali è stata percepita con grande forza nelle missioni del Pime: «Ora è il tempo della responsabilità per continuare a mettere in pratica i suoi insegnamenti»
«Siamo in lutto, perché chi come lui si ricorderà così tanto di noi?». La domanda rivolta a suor Anna Marini, missionaria dell’Immacolata in Guinea-Bissau, è come un colpo al cuore. «Il Papa venuto dalla fine del mondo – ci racconta la religiosa – non ha mai smesso di pensare anche a chi la fine del mondo la vive nella mancanza di sogni, di opportunità e di libertà».
È una delle tante testimonianze che abbiamo raccolto in queste settimane dai missionari e dalle missionarie del Pime da ogni continente e angolo del pianeta. Quello che colpisce, ascoltando anche le voci delle popolazioni disperse nei luoghi più remoti o vittime di guerre, abusi, ingiustizie e violenze, è quanto sentissero Papa Francesco davvero vicinissimo.
«Il Santo Padre – continua nel suo racconto suor Anna – con le sue parole, la sua umiltà, il suo ricordo degli ultimi ha colpito nel segno la popolazione della Guinea-Bissau. Un Pontefice che ha sempre avuto uno sguardo rivolto alla vita, al rispetto della dignità umana e del Creato. Un Creato ricevuto in dono da difendere e proteggere».
Il suo Pontificato è stato di ispirazione anche per tante iniziative come quella realizzata dall’emittente cattolica di Bissau, Radio Sol Mansi, che nel programma “Cabas di ermondadi” ha riproposto le direttrici per una nuova economia, ispirata a Francesco e Chiara, «un’economia differente – dice suor Anna -, una visione nuova, un cammino da tracciare anzitutto per garantire lo sviluppo dell’Africa: terra ancora depredata e vittima del debito estero, saccheggiata e succube di governance politiche autoritarie o di democrazie fantoccio».
«In questo Paese – aggiunge padre Davide Sciocco, missionario del Pime e vicario della diocesi di Bissau – siamo e saremo sempre grati a Papa Francesco, il Papa degli ultimi, dei più piccoli». Il Papa che, in occasione del Giubileo della comunicazione sociale dello scorso gennaio, ha chiesto a Casimiro Cajucam, direttore di Radio Sol Mansi, di sedere vicino a lui. «Poteva scegliere un grande media o un Paese importante. Ha scelto la Guinea-Bissau, ha scelto i piccoli, ha scelto gli ultimi, quelli dimenticati, perché questo era e sarà sempre Francesco, il Papa della gente». «Rimarrà per sempre nei nostri cuori – aggiunge il missionario -. Ma soprattutto vogliamo che rimanga nel nostro impegno come Chiese dell’Africa per essere vicine alla gente, ai poveri, ai migranti, impegnate per la pace e la giustizia».
Yako! Il dono dell’empatia
«”Yako!”, continua a ripetermi la mia gente di Ouassadougou, nel centro della Costa d’Avorio – ci racconta padre Anand Krishna Mikkali (nella foto) -. Significa “mi dispiace” o “condoglianze”, ma in verità va oltre il dispiacere e il cordoglio. Letteralmente vuole dire “io compatisco con te”, è il sentimento dell’empatia. Il fatto che gli stessi amici musulmani siano dispiaciuti per la morte di Papa Francesco ci dice quanto la sua buona fama sia universale. E questa empatia ci conferma anche la riconoscenza e il rispetto da parte di tutti». E aggiunge: «Gli ivoriani provano grande rispetto per questo Pontefice per la sua semplicità, la sua vita d’esempio secondo i valori del Vangelo, il suo coraggio nella denuncia dell’ingiustizia, la sua franchezza davanti alla realtà della Chiesa, la sua umiltà per il bene del popolo, la sua apertura verso le altre religioni, la sua forza anche nell’età avanzata».
Empatia donata e ricevuta. Perché è certo che lo stesso Francesco ha sempre mostrato la sua vicinanza e il suo “com-patire” in modo empatico, specialmente nei confronti delle persone o delle comunità più fragili. È quello che hanno percepito anche le piccole Chiese del Nordafrica, molto esigue numericamente. Oltre a essersi recato in Marocco, dove ha rinsaldato il dialogo con l’islam, il Papa ha sempre mostrato grande attenzione per la minuscola Chiesa d’Algeria e per la spiritualità di alcune sue figure, come quella di Charles de Foucauld, che ha citato al termine dell’Enciclica Fratelli tutti, facendone il simbolo della fraternità universale, ma anche per i 19 martiri di quel Paese, il cui processo di beatificazione è stato estremamente veloce e si è concluso nel 2018. «Nell’ultima visita ad limina lo scorso novembre – ricorda il vescovo di Orano, Davide Carraro del Pime – Papa Francesco ci ha molto incoraggiati. E ci ha confermato che stavamo andando nella direzione giusta, noi piccolissima comunità cattolica in un Paese quasi esclusivamente musulmano, dove cerchiamo di essere una Chiesa del dialogo, della vicinanza e anche della speranza». Quale messaggio più significativo oggi per la Chiesa tutta?
Parole e gesti
Un messaggio altrettanto forte arriva dall’altro capo del mondo, da un Paese dove i cattolici sono dispersi su 600 isole, la Papua Nuova Guinea, prima terra di missione del Pime. Lì Papa Francesco ha voluto recarsi nel suo ultimo faticoso viaggio in cinque Paesi dell’Asia meridionale e dell’Oceania nel settembre 2024. Non solo, «contrariamente a quanto gli avevamo consigliato ha voluto andare anche a Vanimo, in visita a una missione dove sono presenti alcuni religiosi argentini suoi amici», dice padre Giorgio Licini, missionario del Pime che sino allo scorso febbraio è stato segretario generale della Conferenza episcopale della Papua Nuova Guinea. Quella di Vanimo è una missione di frontiera in tutti i sensi, difficile da raggiungere non sono per la lontananza ma anche per la logistica. «Con questa sua decisione – continua padre Giorgio – ci ha mostrato che un pellegrino non ha un programma, ma una meta. Non solo, però: Papa Francesco si è speso moltissimo, soprattutto attraverso il suo Sinodo sulla sinodalità, per una Chiesa più aperta, sincera e generosa. Lo ha fatto sia con le parole che con i gesti».
Lo sa bene suor Roberta Pignone, missionaria dell’Immacolata e medico in Bangladesh che solo attraverso i gesti può testimoniare la sua fede in un contesto esclusivamente musulmano e offrire cura ai suoi pazienti. «”Il Papa è tra noi!”. È quello che continuavamo a ripetere quando è venuto a Dacca nel 2017. Ecco, quello che per me ha caratterizzato maggiormente i suoi anni di Pontificato è proprio questo: è stato davvero tra noi, si è lasciato toccare e abbracciare e ha toccato e abbracciato senza alcun timore». Suor Roberta ricorda in particolare l’incontro che il Pontefice ha avuto con i religiosi e le religiose: «Sono riuscita ad avvicinarlo e gli ho detto che curo i malati di lebbra. Lui ha preso la mia mano e l’ha stretta, proprio la mano che uso per fare il mio lavoro con gli ultimi, sì, gli ultimi, quelli che lui ha sempre prediletto. Ho sentito la sua benedizione. Da quel giorno la cura per i miei pazienti è stata ancora più ricca di amore e di tenerezza. È come se Papa Francesco me lo avesse chiesto con quei suoi occhi sbarrati mentre mi guardava e Gesù me lo ha ribadito attraverso il tocco della sua mano».
Missionari della misericordia
Il tema della misericordia ha segnato profondamente l’esperienza di padre Luigi Bonalumi, missionario a Hong Kong: «Al mio ritorno in questa grande metropoli asiatica, dopo un servizio nel seminario del Pime di Monza, ho subito notato come la gente della parrocchia si sentisse immediatamente compresa e accompagnata da Papa Francesco, che usava immagini semplici e famigliari per comunicare il cuore del messaggio evangelico: Dio è Padre di misericordia e noi siamo tutti fratelli e sorelle “misericordiati”». E aggiunge: «Personalmente, sono stato uno dei “missionari della misericordia” istituiti dal Papa con il compito di essere testimone e facilitatore dell’esperienza del perdono anche per i più lontani. E da questo punto di vista ho potuto sperimentare il grande impatto affettivo e di fede che quell’Anno ha avuto su tante persone. Ho incontrato centinaia di fedeli, preti e laici, che sono venuti a Hong Kong dal continente per celebrare il sacramento della riconciliazione».
E mentre molti cattolici si mettevano in fila per firmare il libro delle condoglianze nella cattedrale dell’Immacolata Concezione, altri «avrebbero voluto che il Papa avesse parlato in modo più esplicito delle difficoltà della gente di Hong Kong, soprattutto dopo l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale del luglio 2020», interviene
padre Paolo Ceruti, che però sottolinea: «So anche che quando non ha potuto fare o dire niente si è preso delle critiche, ma ha portato tutto nel cuore e nella preghiera che, in fondo, per noi che crediamo, è quello che conta davvero».
«Oggi, quando penso a Papa Francesco, non vedo solo il Pontefice, ma un padre, un uomo di Dio e un uomo libero, capace di sorridere, di ascoltare. E di incoraggiare, anche chi, come me, si sente spesso inadeguato davanti alla grandezza della chiamata ricevuta». Da Tokyo, il vescovo ausiliare Andrea Lembo del Pime ricorda alcuni incontri con Francesco e il viaggio di quest’ultimo in Giappone nel 2019: «Ho potuto osservarlo da vicino nel suo agire quotidiano. Sono rimasto molto colpito dalla sua naturalezza, dalla sincerità con cui si muoveva, dalla libertà interiore che traspariva in ogni gesto. Non recitava un copione, viveva pienamente l’incontro. Ho potuto assistere a momenti di profonda umanità: uno sguardo attento verso un malato, una carezza a un bambino, una parola sussurrata che sembrava toccare il cuore dell’altro. Papa Francesco non “interpretava” il ruolo del pastore, lo incarnava con tutto se stesso».
È stato davvero con noi
«Qui, sulle montagne dello Stato del Guerrero – racconta padre Castrese Aleandro dal Messico – la morte di Francesco è stata per noi missionari, così come per le popolazioni mixteche della nostra parrocchia di Ayutla de los Libres, un evento in cui dolore e gratitudine si sono manifestati contemporaneamente. Molti di noi hanno pianto perché Papa Francesco ha vissuto la sua vocazione davvero prossimo alla gente comune. Per tutti è stato un amico e un compagno di cammino. È riuscito a incarnare con molta umiltà e fermezza lo spirito di san Francesco e ha sempre seminato dolcezza, speranza e richiamato al perdono. E ha detto a chiara voce che la fede consiste innanzitutto nell’incontro con Gesù, vivo e presente tra noi e soprattutto tra gli “scartati” di questa terra».
Quest’immagine ben si addice anche all’impegno pastorale e sociale del vescovo Giuseppe Negri del Pime, che guida la diocesi di Santo Amaro, nell’immensa periferia di San Paolo, in Brasile. «Qui – ci racconta – sperimentiamo, oltre al degrado materiale, quello morale. L´idea della famiglia tradizionale è ormai scemata. “Noi pastori e le nostre Chiese siamo molto preoccupati”, ho scritto un giorno a Papa Francesco. E lui mi ha telefonato! Mi ha detto che aveva ricevuto la mia lettera e che avrebbe fatto in modo che la voce di chi lavorava nelle periferie fosse ascoltata». E aggiunge: «Questo era lo stile di Francesco: sorprenderci con una creatività che metteva sempre in luce la sua preoccupazione di essere vicino a tutti, soprattutto a quelle persone che si sentivano lontane ed emarginate dalla società e persino dalla Chiesa. Il processo di “sinodalità”, che ha messo in moto in questi ultimi anni non è stato altro che il riassunto di ciò che ha sempre vissuto in prima persona: ovvero l´ascolto. Papa Francesco ha infranto schemi, è andato oltre il modo tradizionale di pensare al Papa. Anche i suoi predecessori hanno parlato dei poveri, ma lui ha mostrato in modo concreto come si amano».
Per tutto questo, l’eredità di Francesco non può limitarsi al ricordo ma, come sottolineano molti misisonari e missionarie, deve trasformarsi in responsabilità e impegno concreti, affinché il suo esempio e i suoi insegnamenti continuino a essere messi in pratica.
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