Bolivia: via alla foresta per far spazio all’agrobusiness

Bolivia: via alla foresta per far spazio all’agrobusiness

Aumenta in maniera preoccupante il fenomeno della deforestazione per creare terreni agricoli adatti alla produzione agroalimentare, in particolare della soia.  Con un tasso di perdita di foresta del 32% dal 2021 al 2022 –  quasi 80 mila ettari – il Paese sacrifica l’area verde per dare spazio a un settore fortemente in espansione

In Bolivia gli incendi boschivi sono ormai diventati un fenomeno ricorrente. La causa? La deforestazione legata all’espansione del business agroalimentare. Una situazione che per anni è rimasta inosservata fin quando il Paese non ha bloccato l’impegno per porre fine alla deforestazione entro il 2030, tema del vertice sull’Amazzonia tenutosi a Belém, Brasile, nell’agosto scorso. Il summit – istituito nel 1995 dai Paesi sudamericani che condividono il bacino amazzonico (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela) per fermare la deforestazione – è il primo in 14 anni e un funzionario ha dichiarato al Financial Times: «Abbiamo cercato di includere alcuni obiettivi di deforestazione, ma la Bolivia ha chiesto esplicitamente di cancellarli».

Il disboscamento è attualmente in aumento nell’Amazzonia boliviana, che rappresenta circa l’8,4% del più grande bioma del Sud America. In Brasile – dove è presente circa il 60% della foresta – la tendenza è più positiva. L’abbattimento di alberi è diminuito del 42,5% nei primi sette mesi del governo Lula, dopo quattro anni in cui la distruzione era aumentata in maniera esponenziale sotto la guida di Bolsonaro.

«Oggi negare la crisi climatica è solo una sciocchezza – ha dichiarato Lula – ma dare valore alla foresta non significa solo impedire l’abbattimento degli alberi; significa offrire dignità ai quasi 50 milioni di persone che vivono in Amazzonia».

Infatti, la deforestazione porta con sé numerose conseguenze come cambiamenti repentini del clima e grave siccità che minacciano le popolazioni indigene. Le piante e gli alberi assorbono ogni anno fino a un terzo delle emissioni di CO2 dall’atmosfera, forniscono cibo e riparo a gran parte della vita sulla Terra, hanno una grande influenza sull’andamento delle precipitazioni, sulla qualità dell’acqua e del suolo e sulla prevenzione delle inondazioni, senza considerare che milioni di persone dipendono direttamente dalle foreste come luogo di vita e di sostentamento.

Nel 2022, per il terzo anno consecutivo, il Global Forest Watch ha collocato la Bolivia al terzo posto al mondo per perdita di foreste primarie, dietro al Brasile e alla Repubblica Democratica del Congo con un tasso di perdita del 32% dal 2021 al 2022. In rapporto alla popolazione, la deforestazione della Bolivia è quattro volte quella del Brasile. La perdita totale globale di foresta primaria tropicale nel 2022 è stata di 4,1 milioni di ettari, l’equivalente della perdita di 11 campi da calcio al minuto e ha prodotto 2,7 gigatonnellate di emissioni di anidride carbonica, corrispondenti alle emissioni annuali di combustibili fossili dell’India.

Il fenomeno si concentra principalmente a Santa Cruz, la regione boliviana più dinamica economicamente, dove viene avviene la maggior produzione di soia, carne bovina, canna da zucchero, mais e sorgo. Ed è proprio la coltivazione della soia il principale fattore di deforestazione. Infatti, nel 2022, la soia e i suoi derivati sono stati la terza più grande esportazione del Paese, con ricavi superiori a 2 miliardi di dollari.

Uno studio condotto da Trase ha evidenziato che la produzione di soia boliviana è collegata a livelli eccezionalmente elevati di deforestazione rispetto ai Paesi vicini come Brasile, Argentina e Paraguay. I dati di Trase mostrano che la produzione di soia nel 2020 è stata collegata a 77.090 ettari di deforestazione e conversione di ecosistemi nativi, aumentando a 105.600 ettari nel 2021. Anche la superficie totale coltivata a soia è aumentata da 778.600 ettari nel 2020 a 1,088 milioni di ettari nel 2021.

L’Anapo, l’organizzazione industriale dei coltivatori di soia della Bolivia, nega che il settore sia responsabile della deforestazione, ma Stasiek Czaplicki – un economista ambientale che ha contribuito al rapporto Trase – sostiene invece che «il business della soia non è realmente un business della soia. È un affare di terra». In Bolivia, infatti, è più economico acquistare terreni forestali e trasformarli in terreni agricoli piuttosto che investire in terreni agricoli esistenti per migliorarne la produttività e la longevità. La terra è ancora a buon mercato – molto più conveniente che nei Paesi vicini – ma il suo valore aumenta continuamente man mano che il Paese diventa sempre più integrata nei mercati regionali e internazionali. Inoltre, deforestare costa relativamente poco anche perché lo stato boliviano sovvenziona pesantemente il carburante – e la deforestazione della terra può raddoppiare o triplicare il suo valore.

L’espansione della frontiera agricola è stato un raro punto di accordo tra il governo centrale di La Paz, guidato dal Movimiento al Socialismo (Mas) quasi ininterrottamente dal 2006, e l’élite economica di Santa Cruz. Oltre a costruire infrastrutture e mantenere basse le tasse sui beni e sui macchinari agricoli, il governo ha aumentato la quantità di terreno che può essere legalmente disboscato e ha condonato retroattivamente la deforestazione illegale. Addirittura la deforestazione illegale viene raramente sanzionata e quando lo è, le multe sono ridicole: 20 centesimi per ettaro, rispetto alle centinaia di dollari per ettaro applicati dai Paesi vicini. E il Mas ha ancora grandi progetti per il settore: produrre olio di palma in Bolivia, incrementare le esportazioni di carne bovina verso la Cina e costruire raffinerie di biodiesel che utilizzerebbero prodotti boliviani, il che sarebbe un vantaggio per l’agroindustria locale. Ma questo non è semplicemente un patto d’élite: c’è un ampio sostegno in tutta Santa Cruz per l’espansione della frontiera agricola.

Tutto questo lo si può vedere all’ExpoCruz, la fiera aziendale annuale della regione in cui la crescita economica e l’identità della regione vengono presentate come sinonimo di agrobusiness. Tutta la città accorre a festeggiare e questo, dice Czaplicki, fa parte di una ricerca di identità regionale: «Accendi la radio, apri un giornale e non troverai nessuna voce contrario. È quasi politicamente scorretto metterlo in discussione».

Nessuno dei partiti politici locali o nazionali è contrario all’espansione della frontiera agricola e non esiste ancora nessuna forma di resistenza popolare che potrebbe far cambiare la situazione. Nel frattempo, al di fuori della fiera, le conseguenze si fanno sentire sotto forma di siccità e suolo degradato, comunità sfollate e incendi boschivi sempre più frequenti e intensi, che mettono in pericolo non solo la foresta e la popolazione locale, ma tolgono ossigeno all’intero pianeta.