Ora et labora contro la droga

Con mons. Mario Pasqualotto – missionario del Pime, già vescovo ausiliare di Manaus – viaggio dentro la Fazenda da Esperança, un delle maggiori realtà brasiliane nella lotta alle tossicodipendenze

 

A 77 anni mons. Mario Pasqualotto, del Pime, già vescovo ausiliare di Manaus, capitale dell’Amazzonia brasiliana, parla e lavora con l’entusiasmo di un giovane. In effetti in mezzo ai giovani c’è sempre stato. Dal 2001 – poi – si occupa attivamente di tossicodipendenti. «Ho cominciato con la Campagna di fraternità di quell’anno – dice, riferendosi all’iniziativa quaresimale della Conferenza episcopale brasiliana generalmente dedicata a un tema sociale -. Ero da poco vescovo ausiliare di Manaus e ho proposto all’arcivescovo Luiz Soares Viera di non limitarci a parlare e sensibilizzare la gente contro l’uso delle droghe, ma di fare qualcosa per il recupero dei giovani». Di qui l’idea di aprire anche a Manaus una Fazenda da Esperança. Sono 102 ormai in Brasile e nel mondo (Germania, Filippine, ma anche Italia come spieghiamo nel box) le filiazioni della prima iniziativa sorta a Guaratinguetà, nello stato di San Paolo, ad opera del francescano tedesco frei Hans Stapel, diventato parroco della cittadina un quarto di secolo fa, e del giovane locale Nelson Giovanelli Dos Santos, già attivo per conto suo nel modo delle tossicodipendenze.

Mezz’ora a nord di Manaus si incontra anzitutto la Fazenda femminile. Ci sono solo una decina di ragazze, alcune con bambini e, piuttosto che occuparsi di agricoltura ed allevamento, in realtà lavorano con tessuti e colori, realizzando magliette ed altri indumenti. La “terapia” antidroga delle Fazende non prevede nulla di chimico e di medico: solo lavoro, spiritualità e vita di famiglia. Hans e Nelson credono che la dipendenza sia frutto anzitutto di un disagio affettivo e di un cattivo rapporto con se stessi, con gli altri e con Dio. Recuperata l’armonia della persona e delle relazioni, anche la dipendenza scompare: se lo si vuole, se si decide di cambiare giro di amici e si trova un lavoro.

La strategia balza subito agli occhi qualche chilometro più in là, nella più affollata Fazenda maschile. Sono quasi 120 i ragazzi in una dozzina di case. Ogni “famiglia” con un incarico e settore di lavoro: panetteria, alberi da frutta, allevamento di galline (6000 uova al giorno) e maiali, lavorazione delle castagne, della marmellata, dei succhi di frutta… La giornata è scandita dalla sveglia molto presto alle cinque del mattino con la celebrazione eucaristica alle sei. Poi lavoro fino al pomeriggio. Alla sera tempo assieme, televisione, preghiera di gruppo e – una volta alla settimana -condivisione coi compagni di casa del proprio cammino personale.

Anche durante la nostra visita e durante la Messa, organizzata per la nostra presenza, don Mario chiede ad alcuni ragazzi di condividere la propria storia. È uno stratagemma per aiutarli a prendere coscienza, capire se stessi, tenere alta la guardia contro il pericolo del ritorno al passato. In Fazenda hanno dodici mesi per completare il cammino e lasciare il posto ad altri. Vi entrano scrivendo una richiesta di proprio pugno e possibilmente di propria spontanea volontà, non sotto la pressione della famiglia. Se vi rimangono, poi, è solo come volontari a tempo pieno o parziale, dopo aver vinto la propria dipendenza.

Mauricio racconta di aver deciso di venire a dare una mano ogni anno a settembre in modo da concludere il suo servizio il 4 ottobre, festa di san Francesco, una delle figure che più ispirano il lavoro della Fazenda. Dice di essere cresciuto in un’ottima famiglia 350 chilometri ad ovest di Manaus. A sedici anni però ha cominciato a fumare marijuana per curiosità. Poi è passato alla cocaina. Non sa dire il perché. La vita è comunque diventata un inferno ed è andata avanti così per 15 anni, fino al 2013. Su sua richiesta, poi, è stata la mamma a contattare i francescani, per cui lavorava da anni, e frei Hans per l’inserimento in comunità. Mauricio è tra quelli che ce l’hanno fatta. Gli brillano gli occhi quando dice che, da poco, anche la sua ragazza si è rifatta viva per parlare di matrimonio: «Mi ha aspettato 16 anni!». Metà della vita, visto che ora ne ha 32. E anche suo fratello lo ha riabbracciato dopo anni di litigi per le sofferenze inflitte dalla droga non solo a Mauricio, ma a tutti in famiglia.

La riconciliazione con la famiglia è uno dei desideri e delle conquiste che frequentemente emergono dal racconto dei ragazzi. Per mons. Pasqualotto, anzi, l’inserimento in comunità è un evento familiare più che personale. Dice che ci sono addirittura genitori e famiglie che frequentano la Fazenda prima ancora che i figli si sentano pronti ad entrarvi. La prossimità alla Fazenda aiuta i genitori a capire, interpretare ed affrontare la situazione in cui si trovano coinvolti per le scelte dei figli; sbagliate ma non irreversibili.

«Il successo non è totale – dice il vescovo, in pensione ma non certo senza lavoro… -. Qui, però, i ragazzi hanno un’opportunità. Non tutti completano l’anno. A volte coloro che tornano a casa non trovano lavoro o lo lasciano. A volte rientrano nei giri dello spaccio e del consumo di droghe. Noi manteniamo la sfida sul piano della responsabilità personale. Quella di cambiar vita può essere solo una decisione personale». Sta di fatto comunque che le nuove Fazende sono in mano in gran parte a ragazzi che ce l’hanno fatta. Nella parrocchia rurale di Rio Preto da Eva, fuori Manaus, una domenica sera alla Messa vespertina, parla proprio un signore di mezza età, sposato con figli, i genitori presenti in chiesa, che ha addirittura lasciato il Brasile e lavora in una Fazenda nelle Filippine. Parla pochissimo inglese e tagalog, ma forse non è così necessario. Non è solo con la lingua parlata che si può dimostrare ad altri giovani che è possibile farcela.

«Ce la fanno anche alcuni sacerdoti», dice don Mario. Ho capito bene? Sì, ma si riferisce all’alcol più che alla droga. Ed alcuni di loro sono oggi tra i sedici preti completamente dedicati alle Fazende col consenso dei loro vescovi nell’associazione sacerdotale “Famiglia della speranza”. Ci sono poi anche ormai 60 uomini e 30 donne interamente dedicate alle Fazende con scelta celibataria; oltre a circa 50 coppie con famiglia.

La Fazenda da Esperança è certamente oggi la più importante iniziativa in Brasile per il recupero dei tossicodipendenti con una buona visibilità nella Chiesa, nella società ed anche nella politica. L’acquisizione dei terreni è spesso resa possibile dalle autorità e dai privati. La Fazenda maschile di Manaus occupa un terreno che in passato ospitava un centro di detenzione per minori poi dismesso. Quella femminile è stata acquisita da privati in un modo un po’ rocambolesco e molto economico. Non comprendo interamente, ma dom Mario non esita a riconoscervi il dito di Dio. Come forse un po’ per tutta una storia, che oggi si dispiega in 102 capitoli ed altri stanno per essere scritti, che nessuno aveva previsto e sembra abbastanza unica al mondo. In poche parole: contro la droga ora et labora. E fai la pace con te stesso e con gli altri.