I piccoli piegano i giganti della terra

I contadini di tre villaggi della Mauritania hanno avuto la meglio su una multinazionale saudita

 

L’8 settembre 2015 rappresenta una pietra miliare per tutti gli attivisti del mondo contadino. E per una buona ragione: in quel giorno, infatti, il primo ministro della Mauritania ha annunciato che l’Organizzazione araba per gli investimenti e lo sviluppo agricolo (Oaida), una multinazionale saudita, aveva rinunciato all’acquisizione di 3200 ettari di terra sottratta alle comunità contadine. Questa retromarcia rappresenta un importante successo della mobilitazione popolare contro il fenomeno dell’accaparramento delle terre. Un esempio positivo non solo per questo Paese, ma per tutta l’Africa.

Piccolo passo indietro. A causa del rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli, conseguenza della crisi alimentare degli anni 2007-2008, la corsa alla terra arabile è diventata un motivo di preoccupazione per il mondo rurale un po’ ovunque nel mondo. Dai giganti dell’agro-business alle monarchie del Golfo, passando per la Cina, molti governi e multinazionali si sono lanciati in questa nuova forma di “neo-colonialismo fondiario”. Milioni di ettari appartenenti a comunità e villaggio sono stati “affittati” per periodi che variano dai 25 ai 99 anni, a scapito dell’agricoltura locale. Agricoltura che, in Africa, è poco meccanizzata ed è quindi un facile bersaglio di sedicenti “promotori di sviluppo”, in cerca di terre a buon prezzo per la produzione di cibo da esportare o di bio-carburanti.

Approfittando della debolezza degli Stati e dell’avidità di politici nazionali e amministratori locali, questa corsa ai terreni fertili ha portato spesso alla cacciata violenta di migliaia di coltivatori locali dalle terre, ereditate dai loro antenati. Terre che rappresentano l’unico mezzo di sussistenza. Spesso analfabeti, questi contadini non hanno titoli fondiari per dimostrare di essere i legittimi proprietari.

Dal Mozambico all’Etiopia, dal Senegal al Congo, molti Paesi sono vittime dell’arroganza di potenti “avvoltoi”, che però sempre più spesso si trovano di fronte agguerrite levate di scudi. In questi anni, infatti, sono sorte molte organizzazioni di difesa degli interessi degli agricoltori. Tuttavia, molto spesso, gli “investitori”, spalleggiati dalle forze dell’ordine, sono riusciti ad avere la meglio sugli abitanti del posto che sono stati espropriati e spesso costretti ad andare a riempire le già sovraffollate baraccopoli delle grandi città.

Quanto ai 3200 ettari della Mauritania, il caso risale al 2011. Le popolazioni di Dar El Barka, Ould Birome e Dar El Avia, situate a trecento chilometri a est della capitale Nouakchott, sono state informate che alcune terre “morte”, cioè senza proprietari ufficialmente conosciuti, lungo la valle del fiume Senegal, sarebbero state sfruttate da un investitore saudita. Gli abitanti, che non erano stati consultati su questa transazione, hanno immediatamente reagito, sostenendo che quelle terre erano una proprietà secolare dei tre villaggi. Si trattava di terre ancestrali, che non potevano in nessun modo essere cedute, nemmeno in caso di una contropartita, che del resto non era stata prevista dalle autorità del Paese. Quando gli esperti inviati dai sauditi sono arrivati a fare dei rilievi topografici per avviare il lavoro di terrazzamento, gli abitanti dei villaggi si sono sollevati in massa. La polizia ha arrestato e imprigionato alcuni di loro, ma gli altri non si sono fatti intimidire e hanno continuato ha opporsi fermamente al progetto.

Pressioni, intimidazioni e minacce non sono serviti a nulla. «Il governo ha provato anche a giocare l’arma della divisione etnica per farci desistere», dice un capo villaggio. Ma è stato un fallimento su tutta la linea: le comunità peul, mori e afro-mauritane, che coesistono in questi villaggi, hanno resistito. Le organizzazioni della società civile e i consiglieri locali, vedendo la determinazione degli abitanti, hanno deciso di sostenere la loro lotta. Hanno fatto circolare petizioni che sono state firmate in tutto il Paese e anche oltre. Sono state richieste e ottenute audizioni presso le più alte autorità del Paese. E anche i cittadini originari di questi tre villaggi che vivevano a Nouakchott hanno fatto propria la lotta dei loro fratelli e cugini. Stanchi di questa situazione, gli investitori sauditi hanno deciso di lasciar perdere.

Tuttavia, gli avversari di questo progetto non possono veramente gridare vittoria, perché nelle comunità circostanti, decine di migliaia di ettari di terreno sono nel frattempo passate dalla proprietà dei contadini a quella delle multinazionali. E si teme che la rinuncia annunciata dai sauditi, non sia che una strategia per far abbassare la guardia agli attivisti locali.

Nel suo piccolo, però, si tratta pur sempre di una battaglia vinta nella grande guerra contro il land grabbing. Dice, peraltro, che anche i contadini di tre piccoli villaggi possono resistere, grazie alla loro tenacia e determinazione, a una grande potenza come una multinazionale saudita. Questo esempio darà certamente coraggio a molti altri agricoltori sparsi per l’Africa.