«Il Bangladesh, il dolore e l’amicizia della gente»

Spenti i riflettori sulla strage di Dhaka come va avanti la vita in Bangladesh? Lo racconta in questa lettera padre Quirico Martinelli, missionario del Pime a Mirpur

 

Carissimi tutti, grazie dei tantissimi messaggi ricevuti e delle preghiere: ci incoraggiano ad andare avanti con fiducia nonostante tutto, sapendo di essere accompagnati da tantissime persone piene di fede e di amore, che ci vogliono un gran bene!

I nostri giorni qui, sono stati giorni veramente difficili, pieni di dolore e di preoccupazioni. La comunità italiana qui a Dhaka è ancora smarrita e piena di timori: la vita non sarà più come prima.

Noi continuiamo il nostro lavoro quasi normalmente. La nostra parrocchia di Mirpur, è alla periferia della capitale, a dieci chilometri dal centro città. Ora abbiamo la polizia all’ingresso della parrocchia, davanti alla chiesa, notte e giorno. L’hanno messa in tutte le istituzioni dove ci sono stranieri. Per ora non ci sono grandi disagi come nelle missioni di Dinajpur, al nord del Bangladesh (dove avevano sparato a padre Piero Parolari l’anno scorso) dove la polizia pretende di seguire tutti i movimenti dei missionari.

Noi qui a Dhaka siamo più liberi di andare e venire facendo il nostro lavoro. Speriamo che la situazione si possa a poco a poco normalizzare.

Certo, la tragedia è stata grande, immensa: sono morti nove imprenditori di alto livello, direttori e proprietari di fabbriche, e in modo terribile! Quali saranno le ripercussioni su queste fabbriche e sul commercio con l’Italia, nessuno riesce a prevederlo: davano lavoro a tantissima gente. Tanti di questi nostri connazionali erano coinvolti anche in progetti di aiuto sociale nel campo della sanità e delle scuole: gente buona e generosa, che amava questo Paese e la sua gente.

Mai negli anni passati gli stranieri erano stati presi di mira con atti di violenza. Solo tre incidenti gravi erano capitati ultimamente, ma questi erano sembrati solo dei casi isolati: l’attentato al nostro padre »Piero e poi l’uccisione di un cooperante italiano e un giapponese, che sono stati uccisi per strada.

Noi siamo sempre stati amati e rispettati da tutti, e lo siamo ancora. Lo possono testimoniare tanti di voi che in questi anni siete venuti in Bangladesh a trovarci: quanta festa ed allegria abbiamo vissuto insieme, con i bambini, con la gente, nelle visite ai villaggi! Ora sembrano ricordi belli ma molto lontani, quasi impossibili da rivivere ancora!

Speriamo possano tornare quei giorni!

La gente normale qui è tremendamente dispiaciuta e addolorata e non sa trovare spiegazioni a tanta violenza.

Speriamo e preghiamo che si ritrovino le vie della pace, non solo qui, ma in tutto il mondo: ci sono tante guerre in Siria, Iraq, Afghanistan, Libia… che diffondono instabilità ovunque!

Nell’era della globalizzazione, siamo tutti collegati e interdipendenti: anche il male e l’odio si diffondono da una nazione all’altra, e sono contagiosi e travolgenti, spesso, sembrerebbe, più del bene. Ma non è vero! Così noi crediamo, speriamo e preghiamo.