Missione rurale accanto ai tribali

Missione rurale accanto ai tribali

Sull’isola di Mindanao, un gruppo di religiosi di diverse congregazioni si oppone allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali e alle violazioni dei diritti dei tribali. Anche a rischio della vita

 

Nel 2013 la Commissione asiatica per i diritti umani l’ha messa sotto osservazione dopo ripetuti tentativi di intimidazione. Suor Famita Somogod, 48 anni, delle Missionarie sorelle di Maria, sa di rischiare la vita ogni giorno da quando è coordinatrice dei Rural missionaries of the Philippines, un gruppo di religiosi di diverse congregazioni che nell’isola di Mindanao, nel Sud delle Filippine, si batte per la difesa dell’ambiente e per i diritti delle popolazioni indigene. Fondato nel 1969 dalle superiore di congregazioni femminili , il gruppo dei Rural missionaries, che oggi comprende anche laici, è attivo con progetti sociali nelle aree rurali e si oppone allo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali da parte di aziende e multinazionali.

Il cosiddetto land grabbing – l’accaparramento di terre – a Mindanao avviene già da diversi decenni. Aziende e multinazionali hanno distrutto la foresta per esportare il legname o per coltivazioni su larga scala, come quelle per produrre l’olio di palma, il più usato nell’industria alimentare. A stravolgere il delicato ecosistema in cui le popolazioni locali vivevano da secoli ha anche contribuito l’attività mineraria per estrarre oro e rame dal sottosuolo. Nel Sud dell’isola resta una minima parte della foresta vergine che ricopriva vallate e pianure. E la deforestazione è avvenuta di pari passo con la violazione dei diritti delle popolazioni locali.

«Sono entrata a far parte delle Missionarie sorelle di Maria nel 1996 e in questi anni ho sempre lavorato nelle aree rurali, soprattutto accanto alle donne – racconta suor Famita -. A un certo punto, vedendo i diritti di queste comunità sistematicamente calpestati, ho sentito che la loro domanda di pace e di giustizia non poteva essere ignorata. La mia vita è cambiata quando ho capito che la difesa dei diritti delle persone e quella dell’ambiente non potevano essere separate, che per stare accanto alla mia gente dovevo lottare insieme a lei per impedire i soprusi legati all’accaparramento della terra, alla devastazione della foresta e all’uso massiccio di pesticidi».

Negli ultimi dieci anni i Rural missionaries hanno documentato le numerose violazioni dei diritti umani nei confronti dei gruppi tribali fra cui l’uccisione di 47 persone, cinque delle quali erano leader di comunità. Uno dei fronti sui quali i religiosi sono impegnati accanto alle minoranze è quello giuridico: nelle Filippine esistono delle leggi, sia sulla tutela delle aree protette nazionali che sui diritti ancestrali dei popoli indigeni, che danno facoltà alle popolazioni che da sempre abitano su un determinato territorio di decidere in che modo devono esserne gestite le risorse. «Ma queste norme vengono sistematicamente aggirate dagli accordi stipulati fra aziende e istituzioni locali – denuncia suor Famita -. L’industria del legname, dell’agrobusiness e quella mineraria si sono spartite la terra ignorando le comunità che l’abitavano da sempre e rompendo un delicato equilibrio fra uomo e natura».

Ad Arakan è stato ucciso nel 2011 anche padre Fausto Tentorio del Pime: aveva aiutato i tribali Manobo a riunirsi in cooperative agricole e si era battuto affiché il governo di Manila riconoscesse alle minoranze di Mindanao il diritto ancestrale sulla terra. Padre Fausto frequentava il gruppo dei missionari rurali coordinato da suor Famita. «Ho incontrato padre Fausto, o padre Pops, come lo chiamavano tutti, diverse volte – dice la religiosa -. Mi colpiva di lui il fatto che si interessasse così tanto alla gente filippina, più dei leader della nostra Chiesa locale. Nutriva un amore profondo per le popolazioni tribali che sono sempre ai margini della società. Alcune organizzazioni religiose considerano gli indigeni come oggetto di carità, invece l’interesse di padre Fausto nei loro confronti andava al di là di questo. Lui lavorava con loro per affermare la loro dignità come persone».

Dopo la morte di padre Fausto, i missionari rurali non hanno smesso di denunciare soprusi e disastri ambientali. Lo fanno con manifestazioni pubbliche e interpellando le autorità, sia a livello locale che nazionale. Anche se le minacce e le intimidazioni continuano. «Non posso dire di non avere paura- ammette suor Famita-, ma non permetto alla paura di immobilizzarmi. Continuiamo a lavorare e confidiamo nel fatto che ciò che stiamo facendo è giusto. Moriremo tutti, alla fine, e come hanno detto molti grandi della storia non importa quanto a lungo avremo vissuto ma come avremo speso la nostra vita».

Un riferimento che motiva i missionari rurali ad andare avanti è la “Laudato Si’”, l’enciclica sul creato di Papa Francesco. «È una luce per proseguire il cammino e ci ha fatto sentire meno soli – confida suor Famita -. È una sensazione che purtroppo proviamo spesso quando denunciamo quello che accade qui. Nonostante i molti appelli che abbiamo rivolto alle autorità, non c’è stato un reale cambiamento: le industrie continuano ad acquisire, trivellare e sfruttare la terra ai danni della popolazione». Il lavoro dei “missionari rurali” in questi anni ha attirato però l’attenzione a livello internazionale: «Stiamo coordinando due progetti a favore delle popolazioni indigene di Mindanao: uno supportato dall’Unione Europea e l’altro dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati – spiega la religiosa -, e una campagna sulla giustizia climatica, che in questo momento si traduce nel chiedere sussidi al governo a favore dei contadini colpiti dalla siccità». Nonostante le difficoltà, suor Famita non tornerebbe indietro: «Qualcuno mi ha detto che una religiosa farebbe meglio a occuparsi delle anime e non delle questioni sociali, ma a un certo punto io ho capito che Dio mi chiedeva di rendere concreto l’amore per le persone. E mi fido di questa intuizione»