Assad rincara. Anche il passaporto

Assad rincara. Anche il passaporto

Potrebbe sembrare un aggiornamento amministrativo di minore importanza all’indomani dell’attacco chimico in Siria, ma la notizia dell’aumento dei costi di concessione e di rinnovo dei passaporti rilasciati da Damasco sta facendo discutere. A farne le spese, come sempre, sono civili e disperati.

Per anni è stato uno dei documenti meno considerati e oggi invece il passaporto siriano è il più costoso al mondo. Anche se potrebbe sembrare un aggiornamento amministrativo di minore importanza all’interno del complicato conflitto che coinvolge il Paese, la notizia dell’aumento dei costi di concessione e di rinnovo dei documenti di viaggio rilasciati da Damasco sta facendo molto discutere gli osservatori.

Il recente progetto di legge, approvato dal governo siriano, prevede infatti l’applicazione nel prossimo futuro di un incremento delle tasse sui passaporti dei siriani per un totale di 400 dollari (che possono diventare 800, in caso di richieste urgenti). Una cifra notevole, persino maggiore dei 250 dollari richiesti per la concessione dell’ex più caro al mondo passaporto turco e che fa ancora più effetto se si considera che lo stipendio minimo in Siria si aggira intorno ai 45,6 dollari.

A fare le spese di questa decisione, conclusa drasticamente dal regime di Assad, è come al solito la popolazione che, oggi ancor più di ieri, cerca la fuga dalla Siria. All’indomani dell’attacco chimico su Khan Shaykhun e della risposta con il raid americano, c’è infatti da immaginare un’accelerazione del processo di migrazione che dal 2011 ad oggi – secondo i dati diffusi dalle Nazioni Unite – ha già coinvolto più di 5 milioni di siriani, ora rifugiati in Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Egitto ed Europa. L’aumento delle tasse sul passaporto penalizza chi vuole andarsene legalmente dal paese, complicando ulteriormente una procedura burocratica già difficoltosa. Il risultato è che, non potendo pagare per il documento ufficiale, molti ricorreranno al mercato nero, alimentando il traffico di passaporti falsi e arricchendo gruppi di criminalità organizzata.

Viceversa, altri cittadini potrebbero scegliere di vendere i propri documenti dall’aumentato valore per guadagnare qualche soldo: ma anche in questo caso a rimetterci sono altri disperati. Secondo quanto rivelato da un reportage di Gulf News, residenti in Pakistan, Afghanistan, Algeria e altri paesi nord-africani in difficoltà sono infatti disposti ad acquistare a caro prezzo passaporti siriani originali perché sperano, con quella carta in mano, di scappare dalla situazione in cui vivono e di essere accolti in Europa sotto lo status di rifugiati. Dall’inizio del conflitto, i passaporti siriani sono dunque diventati un oggetto prezioso per i poveri di un’intera regione che li acquistano alla stregua di un biglietto di solo andata verso l’Occidente. Il responsabile dell’Ufficio passaporto e immigrazione di Damasco spiega: «Il passaporto siriano suscita simpatia e permette l’ingresso ufficiale in almeno una nazione europea come rifugiato, oltre a un assegno mensile garantito dal paese ospitante». Ma il documento fa comodo anche ai mendicanti che per le strade delle capitali europee sventolano la preziosa carta (che, se originale, può costare anche 7000 dollari…), assicurando che stimola la generosità dei passanti.
Insomma, dopo sei anni di guerra nel Paese, il passaporto siriano ha acquistato un notevole valore anche se paradossalmente resta uno dei più deboli del mondo (al 90° posto su 93) secondo la classifica Passport Index che attribuisce ogni anno un punteggio ai documenti di viaggio in base al numero di Paesi verso i quali è garantito l’accesso senza bisogno di un visto.

Come se non bastasse, a preoccupare gli osservatori è la destinazione dei soldi ricavati dall’aumento delle tasse sui passaporti che sembrano destinati a passare direttamente dalle casse dello Stato all’acquisto degli armamenti necessari per il prosieguo della guerra a oltranza. E in fondo, il passaporto rincarato è più che altro questo, ovvero il tragico segno del fatto che in Siria nessuno sembra avere intenzione di deporre le armi.