Calais: «Noi non li abbandoneremo»

Calais: «Noi non li abbandoneremo»

Oggi in Francia è stato il giorno dello smantellamento della «giungla» di Calais, la più grande baraccopoli d’Europa, dove a due passi dalla Manica vivevano ottomila migranti. Che cosa ha significato davvero questo luogo? E che cosa ci lascia in eredità questa giornata? Dal sito del Secours Catholique, la Caritas francese, rilanciamo in una nostra traduzione questo racconto di Mariam Guerey, una delle operatrici che per un anno e mezzo hanno condiviso le giornate coi migranti a Calais

 

Aprile 2015, il sindaco di Calais, Natacha Bouchard, annuncia davanti alla stampa rivolgendosi ai migranti: «Potete insediarvi nella brughiera». Nella brughiera??? Ci sono andata. L’ho vista! Un’immensa palude. A parte i cumuli di rifiuti depositati in diverse zone, non c’era niente. Mi sono detta che era il posto peggiore di Calais, esposto agli allagamenti, al vento, vicino alle fabbriche di prodotti chimici. Là si respirano gli odori nauseabondi portati dal vento… ma è comunque meglio di niente.

Oggi, un anno e sette mesi dopo, il ministro ha ordinato la chiusura della bidonville costruita su questa brughiera, per colpa della volontà di organizzare, strutturare, costruire per ospitare degli esseri umani!!! È proprio l’enorme bidonville ad aver mostrato la mancanza di qualcosa di meglio.

È nata una catena di solidarietà tra i migranti, le associazioni, le persone venute da ogni luogo superando le frontiere e ha fatto nascere un messaggio di fraternità e di umanità: «Non li abbandoneremo!».

Lottare per i diritti di ogni persona è anche credere nella capacità del genere umano di allontanarsi dal peggio per produrre qualcosa di meglio. È stato questo il motto di tutti i volontari. Questo meglio – che in realtà non è altro che un miglioramento – ha permesso una certa stabilità nelle vite di questi migranti tra cui molte donne sole, bambini e adolescenti abbandonati al loro destino, giovani e vecchi, tutte persone che vagavano nella regione.

Questa brughiera, dunque, ha ospitato la più grande bidonville d’Europa, una città di più di 8000 abitanti. Dove si trovano chiese, moschee, scuole, ristoranti, negozi di alimentari, parrucchieri e un sacco di altre cose… Tutto costruito con i pezzi di legno, i teloni, i pallet e tutto quello che è stato possibile recuperare.

Voglio esprimere oggi un grande grazie – che lo Stato non ha detto – a tutti i volontari che hanno lavorato per rendere possibile la vita per quei migranti che non avevano nulla. Lo Stato ha permesso l’insediamento nella brughiera senza preoccuparsi dei mezzi, dei flussi che arrivavano continuamente, a volte con conseguenze drammatiche. Se dei miglioramenti sono stati fatti, è stato solo grazie alle associazioni. Ho ancora davanti agli occhi l’inizio della costruzione di questa bidonville nella brughiera: il tal volontario che porta il legno, un altro i teloni, le coperte, le roulotte per ospitare diverse famiglie che non volevano separarsi… Un’energia incredibile. Sono nate diverse associazioni, una grande solidarietà per il migrante che non è altri che un uomo come noi. L’insegnamento della lingua è stata una chiave per favorire l’integrazione delle persone appena arrivavano.

Quest’energia ha alimentato la voglia di vivere, la voglia di aiutare. Energia positiva che ha fatto nascere un bel calore umano tra i volontari e gli immigrati, che ripristina i sorrisi e la gioia, che presta attenzione, che rispetta la dignità. Come non continuare su questa stessa strada dell’incontro con l’altro, che da straniero diviene un fratello? Queste sorelle, questi fratelli sono ben consapevoli del fatto che il governo francese non li vuole. Non hanno avuto l’accoglienza che potevano aspettarsi.

Spesso quando sono alla bidonville mi chiedono: «Posso venire con te in auto a Calais?», volendo scoprire qualcosa di diverso da questa bidonville, volendo scoprire che cos’è Calais, volendo camminare e vivere in una città normale senza rimanere in quella che è diventata una baraccopoli e, per fortuna, senza sapere che questo luogo era un’ex discarica di Calais.

Mohammed, un sudanese che ha vissuto otto anni in un campo profughi in Sudan, mi ha regalato due dipinti durante le attività diurne di accoglienza promosse da Secours Catholique. Il primo mostra le corsie numerate di un campo in Sudan. Il secondo mostra la bidonville nella brughiera. Quando ha iniziato a dipingere mi ha detto: «In Africa eravamo riusciti ad avere un campo decente, ma non c’era alcuna sicurezza. In Francia, siamo arrivati per trovare alloggi casuali, molto precari come la bidonville di Calais, né strutturata, né pensata. Perché l’UNHCR non interviene?». La domanda rimane irrisolta!

Ripenso all’accoglienza offerta dalla popolazione e dico: è fantastico, gli esuli hanno potuto vivere un vero e proprio paradosso, l’ospitalità della gente da una parte, dall’altra il non-desiderio di accoglierli dello Stato e dell’Europa intera.

Finché ci saranno ancora persone come i volontari, c’è speranza, la speranza nell’uomo, la speranza nell’umanità, la speranza che il domani sarà migliore per tutti. Abbiamo condiviso diversi pasti con gli esiliati in questa baraccopoli, buone tazze di tè, sorrisi, risate, sguardi che esprimono fratellanza sincera, siamo cresciuti in umanità e dignità. Abbiamo potuto ascoltare i racconti del loro difficile viaggio, sono echeggiate le loro storie di vita. Sono coraggiosi, la loro forza è la forza della speranza. Molti hanno visto i loro amici o un membro della famiglia morire al largo, un’esperienza ha lasciato tracce, traumi, sofferenze. Spesso si domandano: «Perché sono sfuggito alla morte?».

Oggi, invidio tutti quei Centri di accoglienza verso dove i nostri fratelli sono diretti, dico a quanti li riceveranno: «Accoglieteli, state al loro fianco, sono giovani in cerca di pace, il loro sguardo è struggente, ci dicono qualcosa sull’umanità. Hanno bisogno di tenerezza e di amore, di gratitudine, non sanno proprio che cosa sia odiare o provare antipatia. Tutto ciò che vogliono realmente è l’incontro con uno sguardo che non faccia alcuna differenza, uno sguardo amichevole e accogliente… Non li giudicate prima di conoscerli, siate giusti nel comprendere il motivo per cui sono qui, che cosa hanno dovuto sopportare per arrivare fino a qui, nessuno lascia mai volentieri il proprio paese. Speriamo che domani verrà loro concesso lo status di rifugiati».

A che punto siamo con l’accoglienza? È sulla risposta a questa domanda che si verifica il motto repubblicano che ci unisce tutti: libertà, uguaglianza, fraternità.

È nostra responsabilità – per voi, per me – crescere nell’idea che abbiamo della dignità umana. L’idea che abbiamo del mondo da costruire insieme, rafforzato dalle nostre appartenenze culturali e religiose che sono ricchezze più che barriere.

Vogliamo un mondo che nasca dall’accoglienza, dalla comprensione, dal rispetto, dall’inclusione. Ciò di cui sono certa è che questo mondo non vedrà la luce senza di loro e senza di me. Ciò di cui sono certa è che anch’io devo cambiare qualcosa o qualche idea, per accogliere e vivere insieme.

Domani la baraccopoli sarà cancellata dalla carta geografica… Basta migranti. Il governo lo sa molto bene se non altro per via del cantiere del muro della vergogna che si sta costruendo dalla nostra parte, con il sostegno della Gran Bretagna.

E allora vorrei concludere ringraziando ancora tutti i volontari grazie, grazie a tutti gli artigiani di quest’avventura umanitaria. Continuamo a seguire questo bel cammino, perché i migranti avranno più che mai bisogno di noi nei prossimi giorni. Non ho alcun dubbio: vedremo di nuovo persone che dormono sotto i ponti, nei parchi. Nascosti, parcheggiati, divenuti di nuovo invisibili. Ma non invisibili del tutto, se noi saremo ancora e sempre lì per loro e con loro.