Da Kabul a Mogadiscio una vera impresa

Da Kabul a Mogadiscio una vera impresa

Aiutare i giovani nella creazione di start up innovative. È l’incarico che le Nazioni Unite hanno affidato a un’imprenditrice sociale italiana, Selene Biffi, che dall’Afghanistan si è trasferita in Somalia

 

Ci vuole una notevole dose di coraggio per accettare un incarico a Mogadiscio. Ne serve ancora di più se l’incarico consiste nell’aiutare giovani rifugiati ad avviare piccole imprese, in un Paese dove la guerra civile dura da 26 anni e gli attacchi terroristici sono all’ordine del giorno. Selene Biffi, originaria di Mezzago in provincia di Bergamo, è una giovane donna di 35 anni, imprenditrice sociale ed esperta di innovazione. Laureata in Economia internazionale e management con un master in International Humanitarian Action, ha fondato la sua prima start up, Youth Action for Change, a soli 22 anni, con appena 150 dollari: una piattaforma on line di formazione peer-to-peer (alla pari) che fornisce ai giovani corsi gratuiti a distanza e l’opportunità di aiutarsi reciprocamente ad affrontare sfide e problemi sociali, condividendo materiali, idee e soluzioni via internet. Nel 2005 non ci credeva nessuno, oggi è diffusa in 130 Paesi del mondo, è citata come esempio di innovazione nei report della Banca Mondiale e ha ricevuto oltre 30 premi.

Negli ultimi anni Selene ha lavorato in India e in Afghanistan, dando vita a progetti di formazione che le sono valsi numerosi premi, tra cui il prestigioso Mother Teresa Memorial Award for Social Justice, riconoscimento assegnato ogni anno in India dalla Harmony Foundation e unico riconosciuto delle Missionarie della Carità di Calcutta.

«L’innovazione per me è provare a realizzare qualcosa o ad affrontare un problema usando un approccio differente, è qualcosa che mi porto dietro da sempre», afferma.

Fino allo scorso anno, Selene viveva a Kabul, dove ha fondato una scuola molto particolare, la Qessa Academy, in cui ragazzi e ragazze disoccupati imparano a utilizzare l’antica arte dei cantastorie per trasmettere messaggi tecnici di sviluppo locale: dalla salute pubblica alla mitigazione dei disastri naturali, dalla sicurezza alimentare ai diritti umani nell’islam.

«Ero stata in Afghanistan la prima volta nel 2009 per redigere sussidiari per bambini nelle zone rurali, per conto dell’Onu – racconta Selene -. Nell’ottobre di quell’anno ci fu un attentato nel quale morirono, fra gli altri, due mie colleghe. Fui evacuata e la maggior parte dei progetti fu cancellata. Decisi di tornare a mie spese per altri cinque mesi per terminare il mio lavoro e, nel frattempo, scoprii la grande cultura orale dei cantastorie. Nella società afghana comporre versi è una capacità molto apprezzata. Si racconta che, mentre si stendeva la Costituzione dell’Afghanistan, quando non si riusciva a trovare un accordo su qualche punto, ci si fermava e, a turno, si leggevano poesie. Dopo 40 anni di guerra, in Afghanistan otto persone su dieci non sanno leggere e scrivere, e i disoccupati sono il 40%. Ho deciso, così, di fondare una scuola che utilizzasse le storie per insegnare: oggi è portata avanti  da uno staff locale di sei persone, sia ragazzi che ragazze, tutti afghani».

Vista questa esperienza a Kabul, lo scorso febbraio l’agenzia Onu per lo sviluppo (Undp) ha invitato Selene Biffi a Mogadiscio, per sviluppare, con fondi messi a disposizione dall’Unione Europea, un progetto di formazione e creazione di microimprese per i numerosissimi giovani sfollati che vivono nella capitale della Somalia.

«A causa della siccità che, a partire dal 2016, ha colpito 12 province su 18, sono arrivati qui a Mogadiscio circa 500 mila nuovi sfollati da altre aree del Paese – spiega Selene -. L’Unione Europea, insieme a tre agenzie dell’Onu, Unhcr, Undp e Un-Habitat, sta provando a offrire un supporto per il reinserimento degli sfollati e la ricostruzione del tessuto economico e sociale lacerato dalla guerra e dall’instabilità politica». Nell’ambito di questo programma più ampio, il progetto coordinato da Selene Biffi ha l’obiettivo di aiutare giovani, sfollati ma non solo, a creare delle piccole imprese in ambiti quali salute, energie rinnovabili, agricoltura, infrastrutture e mobilità, fornendo loro formazione e un supporto pratico per avviare la propria attività. «È prevista anche la creazione di un incubatore per start up, un luogo fisico che abbiamo già individuato a Mogadiscio – continua Selene -, dove giovani aspiranti imprenditori, sfollati e no, possano accedere a diversi servizi, dall’assistenza legale alla formazione, alla ricerca di finanziamenti».

Una sfida impossibile? Selene è convinta di no, anche se la vita a Mogadiscio non è per nulla facile. Lo scorso 14 ottobre la capitale della Somalia ha vissuto il peggiore attacco terroristico della sua storia recente: l’esplosione di due autobombe in pieno centro ha causato oltre 350 morti e più di 500 feriti. Poi, di nuovo, il 27 ottobre, un altro attentato a un hotel da parte di un gruppo terroristico è stato seguito da un lungo assedio con presa di ostaggi e l’uccisione di 23 persone.

«Rispetto a quando vivevo a Kabul, la mia libertà qui a Mogadiscio è molto più limitata: non posso affittare una casa in città, non posso camminare per strada da sola né uscire dal compound delle Nazioni Unite per più di cinque ore di seguito – spiega Biffi -. Ci sono restrizioni importanti dal punto di vista della sicurezza, specialmente per noi occidentali. Le difficoltà non sono poche, ma si riesce comunque a lavorare. C’è grande entusiasmo soprattutto da parte dei giovani, che hanno voglia di costruire qualcosa di nuovo, partendo spesso da zero. C’è tanta “fame”, nel senso di voglia di fare».