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Icona decorativaIcona decorativa25 Febbraio 2020 Maria Tatsos

Duncan, lo chef che sogna un’altra Africa

Da bambino di strada a laureato in Scienze Gastronomiche. Duncan Okech, 26 anni, keniota, racconta in un libro la sua storia. Con un sogno nel cassetto: tornare nel suo Paese per aprire un laboratorio e creare posti di lavoro
  Duncan Okech ha 26 anni, è un ragazzo keniota ed è un tecnologo alimentare. Con una laurea in tasca conseguita alla prestigiosa università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, attualmente vive in Sicilia dove ha trovato lavoro. In una cooperativa che ha coltivazioni biologiche, Duncan mette a punto nuove ricette. «Preparo vari sughi, pesto con basilico e pesto con finocchietto selvatico», racconta. «Queste preparazioni consentono di aggiungere valore ai nostri prodotti primari. Mi occupo anche delle procedure Haccp sulla salubrità degli alimenti». La sua storia di successo è emblematica dell’Africa che vorremmo, con giovani dinamici e preparati. Eppure, alle spalle di Duncan, non c’è – come potremmo immaginare – una famiglia benestante che l’ha mandato in Europa pagando i suoi studi, come facciamo noi con i nostri figli che vanno all’estero. Dietro al suo bel sorriso, aperto e gentile, c’è una vicenda drammatica che Duncan ha voluto raccontare in un libro scritto con Maria Paola Colombo, intitolato Tieni il tuo sogno seduto accanto a te (Giunti-Slow Food Editore, € 17). Una storia avvincente di discesa agli inferi e di rinascita; di tenacia e di intelligenza, ma anche di fortuna. Duncan è un ragazzo in gamba, che non demorde. L’Africa è piena di energia positiva come la sua, ma non sempre la buona sorte consente di incanalarla nella direzione giusta.

Tutto incomincia in un piccolo villaggio sperduto nella savana. Duncan ha solo quattro anni quando si ritrova senza madre, né padre. A fare da capofamiglia c’è il fratello Patrick, 13 anni, che insieme a due sorelle più giovani cerca di garantire a tutti la sopravvivenza. Quando, dopo qualche tempo, il fratello maggiore George – che si era trasferito a Nairobi in cerca di fortuna – ricompare, Duncan gli viene affidato. All’inizio sembra un colpo di fortuna: il bambino finalmente mangia meglio e va a scuola. Ma la situazione del fratello muta, e il piccolo diventa un peso. Vessato e picchiato, Duncan scappa e diventa un bambino di strada, che rovista fra i rifiuti per nutrirsi. Finché un giorno incrocia Moses e Sylvia, una coppia keniota che aiuta questi minori abbandonati a se stessi, offre loro un tetto e una scuola. Per Duncan, che amava studiare, è un’occasione da non perdere. Resterà nel Giardino dei bambini – questo è il nome dell’istituzione caritatevole – fino alle superiori, quando l’incontro con un italiano gli schiuderà le porte per ottenere una borsa di studio a Pollenzo. A differenza di tanti ragazzi che attraversano il Mediterraneo, Duncan Okech non sogna di restare in Europa. «In Africa la terra è buona, si producono tanta frutta e verdura», spiega. «Ma se non viene consumata subito, finisce a terra e marcisce. Un vero spreco. Il mio obiettivo è tornare in Kenya e creare un laboratorio dove trasformare queste materie prime in cibo disponibile tutto l’anno. Con i miei studi a Pollenzo e l’esperienza che ho acquisito penso di poter fare qualcosa di buono per gli altri e fare rete. In questo modo, mi piacerebbe anche offrire lavoro ad altri ragazzi. Io ci sono passato e so quanto può essere importante incontrare qualcuno che ti dà un’opportunità». Nel suo libro, Duncan Okech sfiora anche il tema del razzismo. «In Africa si immagina l’Occidente come un mondo perfetto e senza problemi. I bianchi che venivano da noi a Nairobi erano tutti gentili e amichevoli. La mia esperienza qui è stata diversa. C’è ostilità. Se hai la pelle scura, sei visto come un immigrato arrivato con la barca che non ha voglia di lavorare. E poi, mi sono reso conto che anche l’Europa ha i suoi problemi». Duncan è uno che riflette su quanto lo circonda. «Mi sento male quando vedo questi giovani africani che stanno in una stanza in dieci e non trovano lavoro. Per loro sarebbe meglio essere a casa loro. Almeno avrebbero un fazzoletto di terra da coltivare». Ma i giovani che fuggono dall’Africa non sanno cosa li aspetta qui? «Nessuno parla. Chi vive sulla strada, si guarda bene dal raccontarlo a parenti e amici. Prevale la vergogna per il fallimento. Così si lascia credere a chi è rimasto in Africa di aver trovato una vita migliore, anche se non è vero». Anche questo è uno spreco: sono le energie dei giovani, le loro mani forti che potrebbero migliorare le cose anche nelle loro terre d’origine e invece troppo spesso girano a vuoto, lontano da casa. Basterebbe che il sogno di Duncan e di tanti come lui si traducesse in realtà, cioè in opportunità concrete di lavoro. Cosa ti manca di più del Kenya? «Le persone. Ci sono davvero tante brave persone, ma da noi se vuoi lavorare devi avere chi ti aiuta. Vorrei che questa mentalità cambiasse. Se la brava gente continua a restare senza opportunità, tutto è perduto».

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