Quei funerali che sono anche una festa

ERMONDADE

Ci sono aspetti della cultura guineense che opprimono e vincolano le persone e la società. È il caso di alcune tradizioni e di rituali considerati essenziali. Avevo già accennato al Toka Tchur: una grande cerimonia fatta di riti, balli, cibo e bevande in occasione della quale decine di mucche, maiali e capre – a seconda delle possibilità della famiglia – vengono uccisi per almeno tre giorni di celebrazione.
Questo tipo di cerimonia può svolgersi in alcuni casi lo stesso giorno del funerale oppure pochi anni dopo la morte di alcuni membri di una famiglia: serve a fare in modo che le anime dei defunti cessino di vagare nella dimensione terrena e passino verso il “lato” degli antenati. La gente è convinta che, se il rito non viene eseguito, tante disgrazie potranno sopraggiungere alla famiglia del morto; gli stessi parenti saranno accusati di fronte alla società di non onorare la sua memoria. Alla luce di questo, si capisce perché un nucleo spenda i risparmi di tutta una vita per il Toka Tchur e non per il proprio benessere, per la scuola o la salute.
C’è una cosa però che sto imparando dalla cultura locale sulla fine della vita: ci sono dei funerali che sono momenti di gioia, una vera festa, perché quando muoiono un uomo o una donna grandi, un anziano, ci si rallegra nella consapevolezza che quella persona ha compiuto la sua missione, ha insegnato, ha esortato, ha trasmesso la sua saggezza e ora parte per riposare insieme agli altri antenati che l’hanno preceduta. La gente crede poi che il defunto continui a intercedere per il villaggio in cui ha vissuto e a proteggerlo. Trovo questo aspetto della tradizione molto bello: è una vera celebrazione della vita, del contributo che una persona, nel corso della sua esistenza, ha offerto alla sua gente. Durante il funerale si realizzano semplici scenette scherzose su quello che l’anziano ha vissuto: lavoro, vita familiare, personalità… Penso che abbiamo tanto da imparare da questo: nonostante la mancanza, il vuoto che un nostro caro può lasciare nella nostra vita, dobbiamo gioire perché lui ha compiuto la sua missione, ha “combattuto la buona battaglia”: la speranza deve rasserenarci, fiduciosi che prima o poi ci ritroveremo con lui o lei, tutti insieme, uniti davanti al Padre Eterno.
Chiudo con un aggiornamento positivo: la piccola Martina, di cui vi ho parlato nello scorso numero, dopo quasi tre lunghi anni è riuscita a partire per il Portogallo per curare il suo problema al cuore. Adesso speriamo che gli interventi medici abbiano successo. Grazie per le vostre preghiere!