Cambiamento climatico: a rischio anche le mangrovie

Cambiamento climatico: a rischio anche le mangrovie

Nella regione tropicale dei Caraibi i fenomeni estremi del cambiamento climatico danneggiano sempre più gli ecosistemi: un progetto scientifico riunisce ricercatori di tutto il mondo per studiarne l’impatto sulle mangrovie e sostenere i governi locali

Sulle coste dei Caraibi e dell’America centrale possiamo trovare centinaia di organismi terrestri e marini riuniti in un unico luogo, le mangrovie, formazioni vegetali costituite da piante legnose che crescono sui litorali bassi delle coste marine a metà fra il mondo terrestre e quello acquatico: le loro maestose radici permettono a queste piante di crescere anche in zone che vengono totalmente sommerse nei periodi di alta marea.

Le mangrovie sono dei veri e propri ecosistemi che ospitano migliaia di specie di pesci, insetti e uccelli e sono, assieme alle barriere coralline caraibiche, minacciate da fenomeni come cicloni, siccità e inondazioni che negli ultimi quarant’anni si  sono moltiplicati e intensificati per effetto del riscaldamento globale.

Solo nel 2021, i cicloni hanno causato circa 70 miliardi di dollari di danni e la morte di 150 persone nell’Oceano Atlantico settentrionale, un bilancio che – senza le mangrovie, le barriere coralline e le praterie di erbe marine – sarebbe stato ancora più drammatico. Esse, infatti, oltre a svolgere una funzione importante di assorbimento dell’anidride carbonica (un ettaro di foresta di mangrovie può assorbire tanto carbonio quanto quattro ettari di foresta pluviale) fungono da barriere naturali per le onde e le inondazioni.

Ma la domanda che gli esperti marini si pongono è quanto ancora questo prezioso ecosistema potrà resistere agli attacchi del cambiamento climatico e se sarà in grado di adattarsi ai sempre più intensi, frequenti e duraturi eventi climatici estremi.

Un progetto inedito attualmente in corso – sostenuto dal programma “Climate & Biodiversity Initiative” della Fondazione BNP Paribas – CORESCAM – riunisce ecologi, oceanografi, climatologi e altri professionisti del settore per condurre uno studio a livello globale sull’impatto degli eventi estremi sugli ambienti costieri e marini dei Caraibi, in particolare sulle mangrovie, con l’obiettivo di prevedere la futura resilienza di questo habitat e aiutare i governi locali nella creazione di aree protette.

A coordinare il progetto è Rosa Maria Román-Cuesta, ecologista dell’Università di Wageningen nei Paesi Bassi ed esperta di foreste tropicali: «Se vogliamo capire come l’intensificazione degli eventi estremi possa influire sulla resilienza degli ecosistemi e delle società umane, l’America centrale è il luogo ideale. È anche una delle aree in cui è più urgente intervenire; in nessun’altra parte del mondo tanti rischi climatici e geologici si uniscono in un hotspot di biodiversità che è anche esposto a gravi siccità e a pressioni come il turismo di massa», spiega al quotidiano spagnolo El Paìs.

Con la costruzione di hotel, porti e autostrade, infatti, gli ambienti costieri e marini sono ancor più a rischio. Secondo l’Onu, negli ultimi 15 anni è stato distrutto il 20% della superficie mondiale delle mangrovie. E se al momento sono in atto strategie che mirano a intervenire nel breve termine, CORESCAM punta, invece, a tradurre il suo lavoro scientifico in politiche concrete e nel lungo periodo. «Per far rinascere gli ecosistemi e mitigare i cambiamenti climatici abbiamo bisogno di politiche a lungo termine che non siano influenzate dai cambi di governo ogni quattro anni e di un impegno nei confronti della scienza», aggiunge Román-Cuesta.

Il progetto CORESCAM sottolinea, inoltre, la necessità di integrare la conservazione degli ecosistemi costieri nei piani di ripresa economica post-Covid 19 e nei programmi di ricostruzione avviati dopo i violenti uragani del 2020. «Per essere sostenibili ed efficaci a lungo termine, i processi di ripresa economica devono tenere conto delle sinergie tra lo stato di degrado dell’ecosistema, l’effetto degli eventi estremi e il loro stesso impatto», afferma Victoria Ramenzoni, antropologa ambientale della Rutgers University nel New Jersey.

I risultati dello studio saranno prima presentati in una serie di workshop con i vertici politici dei Paesi interessati e successivamente attraverso mostre, documentari e incontri con le scuole allo scopo di sensibilizzare le giovani generazioni e diffondere soluzioni scientificamente provate.