Migranti, il volontario in parrocchia tra i morti di Tamaulipas

Migranti, il volontario in parrocchia tra i morti di Tamaulipas

Il guatemalteco Edgar Lopez è stato per più di 20 anni a servizio della chiesa di Sant’Anna a Chartage, nel Mississippi. Il suo corpo carbonizzato è stato ritrovato assieme a quello di altri 18 migranti a Camargo, in Messico, il 22 gennaio scorso. Era in viaggio per tornare negli Stati Uniti dopo l’espulsione come illegale. È Angelus News – agenzia cattolica di Los Angeles – a riportare in vita la sua storia

 

In un contesto in cui il fenomeno migratorio è attuale in tutto il mondo, l’agenzia cattolica di Los Angeles, Angelus News, racconta la storia di Edgar Lopez, originario del Guatemala, che per quasi 25 anni è stato un pilastro della chiesa di Sant’Anna a Carthage, Mississippi. Aveva organizzato le prime Messe in spagnolo a Sant’Anna e oltre ad essere un lettore, ministro straordinario della santa Comunione e ministro dei giovani, Lopez era a capo della “directiva” di Sant’Anna, un gruppo che si occupava dei bisogni della comunità latina. Lopez, cresciuto nel povero villaggio di Chicajala e partito per Città del Guatemala quando era adolescente era entrato negli Stati Uniti a 25 anni; fu deportato un anno dopo, ma riuscì a tornare presto da sua moglie e dal suo bambino a Carthage dove comprarono una casa in cui hanno cresciuto tre figli. Tutto questo fino alla stretta sui migranti illegali che nel 2019 ha trasformato la sua vicenda in tragedia.

Infatti, dopo un raid negli stabilimenti avicoli del Mississippi, Lopez ha trascorso quasi un anno in detenzione. Molte persone a Carthage hanno cercato di aiutare i 700 detenuti. Sant’Anna ha, infatti, ospitato una clinica legale e Padre Medina ha accompagnato Lopez in tribunale. Il giudice federale l’ha definito il tipo di uomo che vorrebbe come vicino, ma avendo le mani legate dalla legge, ne ha ordinato l’espulsione in quanto ritenuto criminale recidivo a causa della sua precedente deportazione negli anni ’90.

Nel luglio 2020 Lopez è stato deportato in Guatemala. Per tornare dalla sua famiglia ha stipulato un contratto con un coyote locale di fiducia: il gruppo è partito il 12 gennaio scorso; le loro famiglie li hanno sentiti per l’ultima volta il 21 gennaio.

Il 22 gennaio, i suoi resti carbonizzati sono stati trovati con quelli di altre 18 persone dentro a un camion trafitto da 113 colpi nella città di confine messicano-americana di Camargo, nel Tamaulipas. La maggior parte dei migranti massacrati – partiti dalla città povera di Comitancillo in Guatemala – aveva parenti tra la popolazione di lavoratori indigeni Maya di Carthage che lavoravano in stabilimenti avicoli. Un lavoro che pagava di più per un’ora di fatica rispetto a quanto i guatemaltechi avrebbero guadagnato in due giorni nei loro villaggi. “La gente è sotto shock. Non possono credere che una cosa del genere possa essere accaduta”, ha raccontato padre Odel Medina, parroco di Sant’Anna.

Dodici agenti di polizia messicani sono stati arrestati, anche se le autorità non hanno ancora identificato il movente. Le speculazioni vanno da un errore di identità a un cartello che si rifiuta di permettere ad altri di spostare merce umana sul suo territorio.