Giappone: demenza senile in aumento

Giappone: demenza senile in aumento

Il numero è in continua crescita. Ma non si può affidare solo alle famiglie la gestione prolungata degli anziani in difficoltà. Servono nuove soluzioni.

Quando Confucio ha prescritto la pietà filiale e il rispetto verso i genitori come una delle norme etiche fondamentali della società, la durata media della vita era piuttosto bassa. A quarant’anni si era già vecchi, e chi oltrepassava i cinquanta era una rarità. Il filosofo cinese non poteva certo immaginare che nel Giappone di oggi – dove l’aspettativa di vita attuale è di 82 anni per gli uomini e quasi 89 per le donne – la cura amorevole per i genitori potesse portare a un’emergenza sociale.

Negli ultimi mesi, i media nipponici hanno spesso acceso i riflettori sull’aumento dei casi di malattie come la demenza senile e l’Alzheimer, che avanzano in parallelo con la crescita della popolazione oltre i 65 anni (attualmente, oltre un quarto del numero complessivo dei giapponesi). I disordini mentali oggi riguardano 4,6 milioni di giapponesi, e le previsioni sono fosche: nel 2025, si arriverà a 7 milioni.

Al momento, Tokyo non è preparata a fronteggiare l’emergenza. Per tradizione – complice l’influsso confuciano – spetta ai figli occuparsi dei genitori anziani. Tant’è che esiste un termine preciso – sansedai kazoku – per indicare la consuetudine della famiglia con tre generazioni sotto lo stesso tetto, incoraggiata anche dalle autorità. Già, ma con la vita media che si allunga a dismisura e le esigenze dei giovani di cercare lavoro trasferendosi altrove, il modello scricchiola.

Nella primavera scorsa, un caso di cronaca ha fatto molto discutere. Nel 2007, un uomo di 91 affetto da demenza è sfuggito alle cure della moglie di 85, che si era addormentata. È uscito di casa ed è stato travolto da un treno. Nel 2014, il tribunale di Nagoya aveva condannato la famiglia al pagamento dei danni alla società ferroviaria per interruzione del servizio. Il figlio 65enne si è visto appioppare una richiesta di oltre 34 mila euro, e ha presentato ricorso. Nel marzo scorso, la Corte Suprema ha ribaltato la sentenza, riconoscendo i familiari dell’anziano come “non colpevoli” per l’accaduto.

Questa storia può sembrare paradossale, ma non lo è. I malati di demenza necessitano di un’attenzione continua. Se lasciati a se stessi, possono varcare la soglia di casa e non ricordarsi più chi sono, nel migliore dei casi. Nel 2015, secondo gli ultimi dati, 12.208 giapponesi affetti da demenza sono scomparsi. La maggioranza, per fortuna, è stata ritrovata nel giro di una settimana e riportata a casa. Ma 479 sono morti e circa 150 mancano ancora all’appello. Preoccupa che questa casistica sia in aumento: rispetto al 2014, gli anziani spariti sono stati 1452 in più.

L’assenza di un numero adeguato di case di riposo con personale specializzato nell’affrontare questo tipo di problematica spesso costringe i familiari a lasciare il lavoro per occuparsi a tempo pieno dell’anziano in difficoltà. Un compito arduo, che può proseguire per anni, mettendo a dura prova la vita dei figli e delle loro famiglie. A volte, come la cronaca rivela, anche questo sacrificio non basta. È sufficiente un attimo di distrazione del familiare che assiste il malato di demenza, e l’anziano si volatilizza.

C’è dunque da pensare a nuove reti sociali per fronteggiare il problema, a nuove forme di aiuto alle famiglie per alleggerire il carico e consentire anche ai figli del malato di vivere una vita accettabile. Come riportato dal quotidiano Japan Times, si stanno esplorando molte strade. Per esempio, a Kushiro, in Hokkaido, il comune ha creato una rete coinvolgendo la polizia e i tassisti per localizzare le persone anziane scomparse. Con questo sistema, pare che una cinquantina di malati siano stati identificati e ricondotti a casa.

Urge che il Giappone pensi a nuove strategie, da affiancare alle case di cura specializzate, se non vuole ritrovarsi con un numero crescente di vittime di demenza investite da un treno o da un’auto durante le loro fughe. Oppure uccisi da un figlio di mezza età esasperato da anni di assistenza continua, come è già accaduto.