L’America profonda che va al voto

L’America profonda che va al voto

Dagli Stati Uniti, il direttore di “Mondo e Missione” tasta il polso dell’americano comune, che sembra sempre più orientato a votare Donald Trump. Anche se c’è ancora molta incertezza e confusione. Quali le conseguenze per il resto del mondo?

Hillary Clinton dalla Pennsylvania dà l’assalto alla Casa Bianca, ma l’impresa si presenta più ardua del previsto. Alla Convention democratica di Philadelphia i fedeli del vero candidato di sinistra Bernie Sanders la contestano apertamente e quasi disperati appaiono gli appelli all’unità del partito. A destra la corazzata Donald Trump conserva lo zoccolo duro degli elettori repubblicani. Molti ne detestano i toni e l’arroganza del linguaggio, ma ne condividono le idee.

La gente nelle strade, negli uffici e nelle chiese è notevolmente confusa. Di ogni candidato ognuno condivide qualcosa di importante, ma detesta parti altrettanto significative del programma. Trump ha sbaragliato le fazioni repubblicane nella corsa per la nomination e l’elettorato di destra finirà per confermarlo nelle urne. Il prezzo da pagare però sarà alto e quasi certo: il ritorno dell’America alla guerra come al tempo dei Bush.

Il peggior nemico dei democratici sono il loro stesso elettorato. Diversi sostenitori di Sanders qui in Michigan dicono che l’8 novembre non si scomoderanno per Hillary. Altri, soprattutto in ambito cattolico, faranno lo stesso o butteranno il voto su un indipendente irrilevante, perché la Cinton porterà ancora più in là le politiche abortiste di Barack Obama. Né credono che Hillary si impegnerà a fondo contro la povertà, per i disoccupati e i senza casa. Ha scelto un vice-presidente che dovrebbe rassicurare da questo punto di vista, ma è nota l’irrilevanza della seconda carica dello Stato nel sistema americano.

La politica estera? Nulla è forse più lontano dalle preoccupazioni dell’americano medio soprattutto dopo i fallimenti degli ultimi presidenti, che hanno lasciato il mondo più instabile e più caotico: i Bush facendo molto per la guerra, Obama non facendo niente per la pace; se non dichiarazioni  di principio all’inizio del primo mandato, ma nessuna iniziativa diplomatica robusta e prolungata  soprattutto in Medio Oriente.

I candidati repubblicani hanno sempre più probabilità di entrare alla Casa Bianca. E a poco più di cento giorni dal voto nelle strade d’America si fiuta la vittoria di Trump. Un elettorato un po’ titubante il suo, ma con uno zoccolo duro più determinato di quello democratico a portare elettori ai seggi. E poi senza una fazione concorrente e contestatrice interna come quella di Sanders contro Clinton. Entrambi i candidati rappresentano un “minor male” per i rispettivi partiti , ma più nuovo, ardito e spregiudicato è il cavallo repubblicano.

Che ne sarà del mondo sotto la presidenza Trump? Solo i fatti lo diranno e solo il tempo mostrerà se l’uomo “scalmanato” dei comizi elettorali sarà lo stesso dello studio ovale. Gli americani di certo non vogliono altre guerre. Ma il dilagare del terrorismo internazionale in questi mesi a ridosso del voto potrebbe essere la carta vincente sia per Trump presidente che per i generali a lungo  imbrigliati dall’amministrazione Obama.