Bangladesh: aspettando papa Francesco

Bangladesh: aspettando papa Francesco

Incontrerà i giovani nell’università cattolica di Dacca e incoraggerà il dialogo. I missionari del Pime raccontano come ci si sta preparando in Bangladesh alla visita di papa Francesco.

«Ci aspettiamo che il Papa incoraggi l’apertura al dialogo, anche se qui per le comunità cristiane non è un invito facile da mettere in pratica. È ancora vivo il ricordo della strage di Dacca compiuta dai fondamentalisti nel luglio 2016. Nelle parrocchie l’accento maggiore è sulla gioia e l’onore che con questo viaggio il Papa ci fa. Ma i cattolici sono una piccolissima minoranza. Che cosa davvero potrà portare la sua visita è difficile da valutare». Missionario in Bangladesh dal 1978 al 1983, dopo 18 anni a Roma come vicario e superiore generale del Pime, nel 2002 padre Franco Cagnasso è rientrato a Dacca. E qui si sta preparando, in mezzo alle comunità che gli sono affidate, alla visita di papa Francesco.

Il Papa arriverà a Dacca giovedì 30 novembre, venerdì celebrerà una Messa durante la quale vi saranno anche le ordinazioni sacerdotali, in una chiesa al momento non ancora resa nota per ragioni di sicurezza. In agenda anche un civic gathering, cioè un incontro a cui parteciperanno rappresentanti della società civile e di altre religioni.

Nel programma del viaggio Papa Francesco ha riservato un momento specifico di incontro con i giovani, il 2 dicembre, al Notre Dame College di Dacca. Fondato dalla Congregazione di Santa Croce, il College ha dato vita nel 2014 alla prima università cattolica del Bangladesh. Il Papa vuole incontrare qui gli universitari e i giovani lavoratori. Una scelta significativa, considerato il fatto che il retroterra fondamentalista dell’attentato di Dacca del 2016 è maturato anche in ambienti universitari.

Con i suoi 153 milioni di abitanti, su una superficie poco più vasta del Nord Italia, il Bangladesh è la nazione più densamente popolata al mondo, 1.034 abitanti per chilometro quadrato. Una moltitudine di persone su un territorio che concentra in sé le maggiori sfide del nostro tempo. Dalla povertà (che qui è estrema per il 36% della popolazione) allo sviluppo sostenibile. Dal fondamentalismo islamico ai cambiamenti climatici. Dalla difficile convivenza fra etnie e religioni diverse ai cambiamenti vissuti da giovani e famiglie, che sempre di più abbandonano i villaggi per riversarsi nelle vaste metropoli. Fino ai diritti dei lavoratori, la vasta schiera di manodopera a basso costo ingaggiata dalle aziende del settore tessile di tutto il mondo, che qui hanno trasferito magazzini e stabilimenti. Il Bangladesh è inoltre il terzo Paese al mondo per numero di emigrati dopo Siria e India: dal 2000 almeno 200 mila persone sono partite ogni anno, con punte di 800-900 mila nel 2007 e 2008. Tutte sfide che interrogano anche la piccolissima Chiesa cattolica che attende Papa Francesco, i cui fedeli costituiscono circa lo 0,3% in una nazione al 90% musulmana; «un pizzico di sale» in un grande piatto di riso, l’ha definita di recente l’arcivescovo di Dacca, il cardinale Patrick D’Rozario.

Nel novembre 2015 il fondamentalismo islamico qui ha colpito anche il Pime, con l’attentato a padre Piero Parolari, missionario e medico originario di Lecco, che è sopravvissuto «per miracolo», come lui stesso sostiene. «Oggi la situazione è difficile da decifrare, perché il fondamentalismo e la violenza si scatenano all’improvviso – osserva padre Franco -. Bisogna dire che, per quanto si riesce a percepire, il governo ha agito con molta decisione sia nella repressione che creando strutture di polizia specializzate nell’anti-terrorismo».

Il Pime, presente in Bangladesh da oltre 160 anni, oggi è rappresentato da 29 missionari, distribuiti fra la capitale e l’area nord-occidentale del Paese. Ha sempre operato soprattutto fra le popolazioni tribali, etnie minoritarie rispetto a quella principale, bengalese e musulmana.

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