AL DI LA’ DEL MEKONG
Il Myanmar e i suoi vicini

Il Myanmar e i suoi vicini

A Taunggyi ho visto all’opera un protagonista più vicino di qualsiasi leader politico o Paese confinante. Me lo hanno mostrato un gruppo di seminaristi…

 

«Salì poi sul monte, chiamò a sé
quelli che egli volle
ed essi andarono da lui»
Mc 3,13.

 

Ho appena terminato un corso di introduzione al mistero di Cristo offerto a un gruppo di 34 seminaristi presso il St. Micheal Seminary di Taunggyi, nel cuore dello Shan State, Myanmar orientale. A quasi tre anni dalla vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi, il Myanmar sta trasformandosi nonostante debba fare ancora i conti con la vecchia oligarchia militare ben presente e rimasta a capo di tre importanti ministeri, quello dell’Economia, degli Interni e il Myanmar Border Affairs Ministry, che presiede alla gestione delle relazioni con i Paesi confinanti, la Cina in primis. Vi è infatti una certa ingerenza di questo illustre vicino che sta lavorando alacremente alla costruzione della China-Myanmar high-speed railway e ad altri progetti nel settore energetico.[1] Non è però di questo che voglio occuparmi, quanto di un altro vicino, più vicino di qualsiasi leader politico o Paese confinante; vicino a tal punto da aver attratto questi ragazzi con la persuasione dell’amore e l’ardore della fede. Quel vicino è Gesù di Nazareth.

Ho avuto la percezione di questa loro vicinanza a Lui alcuni giorni fa quando un blackout improvviso ha oscurato tutto il Seminario. In men che non si dica, due seminaristi sono corsi in cappella per posare una candela accesa accanto al tabernacolo. Non hanno badato ad altro che a rimpiazzare la lampada elettrica, spenta dal blackout, con quella candela perché non venisse meno la luce accanto al Santissimo Sacramento. Solo dopo si sono preoccupati di illuminare alcuni altri luoghi comuni del Seminario. Uscendo dalla camera per via del buio, attraverso le vetrate dell’antistante cappella, ho intuito il muoversi di una candela accesa verso il tabernacolo. Non volevano lasciare Gesù-Eucarestia nell’oblio, ma che vi fosse almeno una luce a ricordarne la Presenza. «Lui è qui – scrive Péguy – Lui è qui come il primo giorno», discreto vicino di casa per questi 34 ragazzi!

Quando durante le lezioni la densità del mistero di Cristo riempiva i cuori ma sfiancava le menti, ne approfittavo per chiedere a qualcuno qualche dettaglio biografico sul “perché” del loro cammino verso il sacerdozio.

Giovanni Paolo, questo è il nome di battesimo di Thant, 32 anni, laureato in medicina all’università di Yangon è in Seminario da tre anni. Dopo la laurea ha lavorato per Population Services International (Psi), una Ong con sede a Washington impegnata in molti Paesi in via di sviluppo, spesso in politiche di pianificazione famigliare. Il salario commisurato agli standard internazionali gli sarebbe senz’altro bastato, ma ciò che non gli bastava era il tipo di aiuto che portava alla gente attraverso quella Ong. «Non mi bastava quel modo di aiutare le persone. Cercavo e cerco ancora qualcosa che arrivi al cuore. E lì ci arriva solo Gesù, l’Eucarestia. Non avevo però il coraggio di dirlo ai miei genitori che, dopo avermi permesso di studiare medicina e dopo 5 anni di lavoro con Psi, avrei dovuto lasciare. Avendo solo una sorella maggiore che vive negli Stati Uniti, sarebbero rimasti soli. Eppure mi hanno lasciato libero, come sempre». «E sono qui!».

Robert invece ha 25 anni e viene dalla diocesi di Mandalay, con una mamma di origini nepalesi e una papà tamil, non cattolici. «Sono entrato in seminario per la devozione e la pietà di un sacerdote che mi ha aiutato dopo la morte di mio papà, quando avevo 13 anni». «Vorrei avere lo stesso amore per i malati che ho visto in quel sacerdote e lavorare duro come faceva lui». Prima del seminario ha insegnato musica presso l’International Language and Business Center di Mandalay, una delle due scuole private della città nelle quali le materie sono insegnate in lingua Inglese, e poi è entrato.

Infine, Peter che di anni ne ha 26 e proviene da un villaggio remoto del nord a un passo dal confine con la Cina nello stato Kachin. Il padre è un ufficiale che appartiene ad uno dei tanti gruppi militari indipendentisti, sempre lontano da casa. Peter ha potuto incontrarlo per la prima volta quando aveva 12 anni. Ora riescono a vedersi si e no una volta l’anno. È laureato in Chimica industriale, ma perché il Seminario? «È ancora tutto da decidere». «Anni fa le insistenti preghiere di mia mamma per mio papà lontano, per la sua incolumità, non so come, mi hanno avvicinato a Dio, alla sua Presenza. Voglio continuare a pregare così, come lei, per tutta la vita!». «In attesa che mio padre deponga le armi».

La gestione politica del Paese infatti deve fare i conti con i tanti gruppi armati disseminati su tutto il territorio nazionale, a difesa degli interessi dei diversi gruppi etnici. Si contanto circa 135 diverse etnie. Non è quindi facile transitare da un regime come il precedente, ad uno democratico. Ché però il Myanmar, così ricco di risorse, sia ancora un Paese unito, è già un grande miracolo. A patto che nessuo venga da fuori a disordinare il fragile equilibrio tra le parti. Qui a Taunggyi si prega spesso anche per questo.

 

[1] Tra questi segnaliamo la Myitsone hydropower dam, la Letpadaung copper mine, la Dawei oil refinery, la China-Myanmar oil and gas pipelines.