Grotte dei mille Buddha

Grotte dei mille Buddha

FUORI ROTTA
Alla scoperta dei siti rupestri scavati dai monaci buddhisti nella valle di Mogao, nella provincia cinese del Gansu

 

«Un oceano di terra le cui onde nei secoli sono stati i popoli». Con questa suggestiva e calzante definizione l’antropologo e orientalista Fosco Maraini descrive l’Asia Centrale. Un oceano traversato da una rotta, la Via della Seta, e costellato di “isole”, le oasi, in cui i viaggiatori sostavano, si rifocillavano e scambiavano merci e idee. Tra queste oasi, all’estremità orientale della Via della Seta, vi è Dunhuang, oggi nella provincia cinese del Gansu.

Il sito, vivace centro commerciale e culturale fino al suo declino con l’occupazione islamica della regione, fu anche un centro religioso importante. L’installazione di monaci buddhisti in siti rupestri scavati nella valle di Mogao (25 km a sud-est di Dunhuang) iniziò nel IV secolo e crebbe progressivamente fino al XIV secolo: nell’arco di questi dieci secoli 492 grotte furono occupate o scavate, decorate con 45.000 metri quadrati di pitture murali e 2.500 statue, in cui si possono ammirare stili iconografici indiani, centroasiatici e cinesi. Tali affreschi servivano come supporto visivo per la meditazione dei monaci, ma avevano anche lo scopo di illustrare ai pellegrini le storie del Buddha e della mitologia buddhista.

Una di queste grotte, dette anche “Grotte dei mille Buddha”, la numero 17 – una sorta di biblioteca contenente migliaia di rotoli di scritture – venne sigillata all’inizio dell’XI secolo per preservare da invasioni e distruzioni quella moltitudine di testi (religiosi, filosofici, letterari, economici, giuridici, storici, medici, matematici), vergati in altrettante lingue (cinese, tibetano, sanscrito, sogdiano, khotanese, tocharico, uiguro).

Tra essi spicca una versione cinese del Sutra del Diamante dell’868, il più antico testo a stampa del mondo. Fu solo all’inizio del XX secolo che un monaco taoista si imbatté casualmente in questa grotta-biblioteca, e da lì in poi si susseguirono le esplorazioni e i ritrovamenti di Aurel Stein, Paul Pelliot, Otani Kozui e Sergej Ol’denburg.

Essi attestano l’egemonia della religione buddhista ma rivelano ugualmente importanti testimonianze di altri religioni diffuse in questo crocevia: taoismo, zoroastrismo, manicheismo e cristianesimo.