I disertori birmani: «Ci dicevano: sparate a ogni Rohingya»

I disertori birmani: «Ci dicevano: sparate a ogni Rohingya»

In un video le accuse ai generali di due ex militari del Myanmar, unitisi oggi ai ribelli dell’Arakan Army. Hanno confessato di aver partecipato al rogo di 20 villaggi e altre atrocità

 

In Myanmar il 25 agosto 2017 iniziava la fase più acuta e forse definitiva della “pulizia etnica” pianificata e attuata nello stato occidentale di Arakan (Rakhine), contro i musulmani di etnia rohingya, che costrinse oltre 700mila fuggiaschi a scappare oltreconfine, nel musulmano ma povero Bangladesh che già ospitava centinaia di migliaia di profughi di questa etnia.

La campagna militare, attuata con il sostegno dei nazionalisti buddhisti, ha sollevato forti proteste internazionali e ha messo in serie difficoltà il governo birmano, alienato parte del sostegno internazionale ai programmi produttivi e di sviluppo del Paese, messo sotto accusa la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi capo de facto del governo, per la mancanza di una seria opposizione all’azione delle forze armate. Le successive inchieste, i rapporti basati su testimonianze dirette dei profughi hanno portato anche le Nazioni Unite a formulare le accuse di “genocidio” e “crimini contro l’umanità” ancora oggi negata dai generali e non messa in dubbio dal governo birmano.

Un’intervista rilasciata da due disertori dell’esercito – diffusa nei giorni scorsi – rappresenta quindi una testimonianza unica perché è la prima proveniente dalla parte responsabile di migliaia di morti, stupri, mutilazioni, devastazioni inspiegabili se non con l’intento di fare del Myanmar terra bruciata per i Rohingya.

I due soldati trentenni, Myo Win Tun e Zaw Naing Tun, che si sarebbero uniti volontariamente all’Arakan Army, gruppo impegnato nella guerriglia contro le truppe birmane, hanno descritto come durante la campagna di tre anni fa avrebbero “cancellato” interi villaggi obbedendo all’ordine di “sparare a tutto quello che potete vedere o sentire”. I militari, che operavano in unità separate, hanno confessato il rogo “di 20 villaggi” e l’uccisione di “fino a 180 donne, uomini e bambini”, seppellendone molti in fosse comuni. I due hanno anche fornito nomi e gradi di 17 commilitoni responsabili di atrocità, inclusi sei comandati che avrebbero ordinato loro di “sterminare tutti i Rohingya”.

Confessioni drammatiche – espresse per la prima volta in un video anche se non dissimili nel contenuto da altre non sempre verificabili postate da tempo su siti internet legati alla guerriglia – di cui l’agenzia France Presse è venuta in possesso. I vertici militari birmani negano ogni validità parlando di propaganda dei loro rivali. Il contenuto è stato analizzato anche da Fortify Rights, che ha sua volta le ha diffuse in parte dopo essersi accertata che non fossero state estorte o manipolate. L’ong, molto attiva per i diritti umani in Myanmar, ha chiesto che i due siano giudicati dalla Corte penale internazionale dell’Aja affinché possano contribuire ad evidenziare le responsabilità delle violenze e dell’espulsione dei Rohingya da un Paese che ha sempre negato loro la cittadinanza.

Le testimonianza potrebbero essere anche utilizzate nel giudizio in corso davanti alla Corte di giustiza internazionale, che ha messo sul banco degli imputati il Myanmar per avere cercato di “distruggere i Rohingya come gruppo, in parte o totalmente, attraverso l’utilizzo di omicidio di massa, stupro e altre forme di violenza sessuale, come pure attraverso la distruzione con il fuoco dei loro villaggi”.