Joshua, Agnes, Ivan e il terrore bianco a Hong Kong

Joshua, Agnes, Ivan e il terrore bianco a Hong Kong

I tre giovani leader del movimento democratico in carcere dopo essersi denunciati per tenere alta l’attenzione. Oggi l’arresto anche per Jimmi Lay. Agnes Chow è cresciuta in una parrocchia dove è presente il Pime: lei stessa ha servito all’altare. Che cosa possiamo fare? Il primo passo è rimanere informati. Anche attraverso un libro che aiuta a capire la protesta di Hong Kong

 

Joshua Wong (24 anni), Agnes Chow (23 anni) e Ivan Lam (26 anni), tre giovani leader del movimento per la democrazia di Hong Kong, ieri sono stati condannati al carcere. Loro stessi si sono dichiarati colpevoli di aver organizzato e partecipato alla protesta non autorizzata – peraltro pacifica – del 21 giugno 2019 davanti al quartier generale della polizia. Una cosa successa più di un anno prima che la legge per la sicurezza nazionale fosse imposta su Hong Kong. Wong, Chow e Lam si sono dichiarati colpevoli per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla vicenda di Hong Kong.

Joshua Wong è uno dei leader più noti di Hong Kong: fu a capo della Rivoluzione degli ombrelli del 2014. Pur essendo piuttosto giovane, aveva già subito condanne e conosciuto il carcere. Ieri è stato condannato a 13 mesi e mezzo. Ivan Lam è stato condannato a sette mesi. Agnes Chow, la ‘numero due’ della Rivoluzione degli ombrelli, era stata arrestata ma mai imprigionata. Ieri è stata condannata a 10 mesi e condotta in carcere.

Agnes Chow è considerata, da molti giovani di Hong Kong, come una moderna Mulan, la leggendaria eroina guerrigliera che a noi europei fa pensare a Giovanna d’Arco. È molto conosciuta anche in Giappone, per saperne parlare la lingua. È cresciuta in una modesta famiglia cattolica praticante. Da ragazza lei stessa ha servito all’altare, avendo come parroco un missionario del Pime, ora rettore del seminario di Monza. Agnes ha più volte dichiarato che la fede ha ispirato il suo impegno per la democrazia e la libertà della sua gente. Anche Joshua Wong – cresciuto in una famiglia luterana – ha affermato che la fede cristiana e l’esempio di suo padre hanno motivato la sua scelta di impegno. Wong padre portava con se il piccolo Joshua a visitare e aiutare persone povere. Torneremo presto su di lui.

Alcuni – conoscendo lo strazio con cui seguo le sorti di Hong Kong – mi chiedono che cosa si può fare. Non so più rispondere a questa domanda. Nessuno ha la forza di fermare quanto sta succedendo. Si può, anzi è doveroso, rimanere informati e non dimenticare. Hong Kong, piuttosto convenientemente, è diventata una notizia secondaria. Bisogna impegnarsi per cercare le informazioni che la riguardano: non mancano, ma non sono più in primo piano.

Lo scorso 19 novembre abbiamo presentato per iniziativa dell’Associazione Sviluppo e Cultura di Alessandria il libro di Lisa Jucca, editorialista per Reuters Brakingviews, 30 giorni a Hong Kong. Frammenti di una protesta (Scalpendi Editore, 2020). Jucca ha raccontato, in presa diretta, un mese di protesta, dal 22 settembre al 22 ottobre 2019. Il suo reportage, scritto in forma di diario, è un ottimo strumento per conoscere le ragioni e i protagonisti del movimento democratico e delle sue manifestazioni pubbliche che hanno sconvolto e cambiato Hong Kong per sempre. Un movimento iniziato il 9 giugno 2019 e che si è protratto fino al 1 luglio 2020. Un anno straordinario e tristissimo.

Jucca dedica a Joshua Wong – che ha incontrato a Hong Kong il 16 ottobre 2019 – un intero capitolo (di cui Mondo e Missione ha pubblicato uno stralcio). Un ragazzo esile e vestito semplicemente: “mi è difficile credere che questo ragazzo occhialuto sia la figura politica più temuta da Pechino” (p. 155). E oggi, questo ragazzo, è in prigione. E non manca di idealismo nobile e d’altri tempi: “La mia mancanza di libertà oggi è il prezzo che sapevo avrei dovuto pagare per la città che amo” (p. 155). Nel colloquio con Jucca, Wong riconosce di non essere uno dei leader del movimento del 2019 (lo era stato in quello del 2014). Ritaglia per sé il compito di sensibilizzazione internazionale. Il suo compito è “essere la voce di Hong Kong di fronte alla comunità internazionale” (p. 156). Per questo, c’è da credere, si è dichiarato colpevole in tribunale e ha scelto la via della prigione. “Il prezzo della libertà è alto. Ma liberare la gente dalla paura è l’obiettivo a cui aspiro e che voglio perseguire” (p. 160).

Il libro di Lisa Jucca è accompagnato da un reportage fotografico (Be Water, Iconografia di una protesta, Scalpendi, 2020) a cura di Nicola Longobardi, fotoreporter residente a Hong Kong e premiato per i suoi servizi dall’Asia. Il video dell’incontro è visionabile su youtube.

Il terrore bianco che pervade Hong Kong continua. Ieri 2 dicembre 2020 è stato arrestato anche il giovane attivista Keith Fong, capo dell’associazione studentesca dell’Università Battista. Sono più di 10.000 (quasi tutti molto giovani) i manifestanti arrestati dal giugno 2019. Oggi, 3 dicembre, Jimmy Lai (73 anni, convertitosi al cattolicesimo nel 1997), inoto imprenditore ed editore del giornate d’opposizione Apple Daily, si è visto negare la libertà su cauzione ed è stato portato in prigione fino alla ripresa del processo, il prossimo 16 aprile. È accusato di frode – ovvero di aver utilizzato gli uffici del giornale per attività politica – e rischia fino 14 anni di carcere. In un’altra indagine, è indagato per violazioni alla legge per la sicurezza nazionale, ovvero di “collusione con forze straniere”, un reato per cui è previsto l’ergastolo.

In un articolo pubblicato sul Wall Street Journal lo scorso 17 agosto, William McGurn (un giornalista che ha trascorso alcuni anni a Hong Kong) traccia un impressionante ritratto di Lai, sottolineando come, essendo ricchissimo, avrebbe potuto lasciare Hong Kong per tempo e senza difficoltà. Ma è rimasto, affrontando le accuse e il carcere, per condividere il destino della città e, con la sua testimonianza personale, tenere alta la bandiera della democrazia e della libertà.

Monza 3 dicembre 2020 (San Francesco Saverio)