La domenica dei due milioni a Hong Kong

La domenica dei due milioni a Hong Kong

Una folla immensa in strada per protestare contro le violenze della polizia e chiedere il ritiro della legge sull’estradizione. Il destino politico di Carrie Lam appare a un vicolo cieco e pone il problema di un’élite amministrativa, finanziaria e politica, sostenuta da Pechino, ma troppo distante dalla gente in una città viva. E dove le Chiese con il loro «ecumenismo di strada» stanno dando un contributo importante

 

 

Ieri, domenica 16 giugno, rimarrà una data fondamentale nella storia di Hong Kong, la città cinese di sette milioni di abitanti che cerca di preservare la libertà e conquistare la democrazia.

È stata la domenica dei “due milioni” di cittadini scesi in strada per chiedere al governo di ritirare la proposta di legge sull’estradizione, e di scusarsi per la violenta risposta della polizia alle proteste degli studenti dello scorso mercoledì 12 giugno. Questa volta nessun incidente, nessuna violenza, nessun disordine. Una giornata indimenticabile per chi vi ha preso parte, vestendo la maglia nera di protesta e indignazione. È stato un capolavoro di civismo per cui la gente di Hong Kong merita davvero il riconoscimento e il rispetto del mondo.

La gente ha ricordato anche un uomo di 35 anni che il giorno precedente è precipitato, perdendo la vita, da un’alta struttura sulla quale stava affiggendo un lungo manifesto di protesta. L’incidente sembra causato dal suo tentativo di sfuggire al fermo da parte della polizia.

La sera di domenica la capo esecutiva, Carrie Lam, attraverso un comunicato, si era scusata con la gente di Hong Kong per aver causato amarezza e divisione nella società.

Il giorno prima, Lam aveva dichiarato di “sospendere” il progetto legislativo d’estradizione, ma i termini e i toni usati non avevano assicurato la popolazione. Soprattutto non le si perdona che la polizia abbia sparato contro i giovani non solo gas lacrimogeni e urticanti, ma anche, per la prima volta, le pericolose pallottole di gomma. La polizia è sempre stata percepita come amica: le scene di violenza hanno disturbato la gente nel profondo.

Il destino politico di Carrie Lam è ad un vicolo cieco. Se non si dimetterà ora, sarà costretta a farlo fra qualche tempo, quando le acque si saranno calmate, la sconfitta sembrerà meno bruciante, e sarà stata predisposta la successione.

Carrie Lam ha avuto una buona carriera da amministratrice, ma dal punto di vista politico ha mostrato troppe incapacità ad interpretare il sentimento della società. È una storia che si ripete: Hong Kong è governata da una élite amministrativa, finanziaria e politica, sostenuta da Pechino, ma troppo distante dalla gente, guardata con sufficienza dall’alto in basso.

Negli anni scorsi troppe cose brutte erano successe: il rifiuto di ascoltare il movimento democratico degli ombrelli e la condanna al carcere dei leader; il rapimento di alcuni piccoli editori critici verso il regime; infine il tentativo di introdurre la legislazione sull’estradizione, che avrebbe fatto somigliare Hong Kong ancora di più ad una delle tante città illiberali della Cina.

Ma Hong Kong non è una delle tante città: è davvero un caso unico, una storia a sé. Non è una pedina nello scacchiere internazionale, schiacciata dalle grandi ambizioni internazionali di Pechino. Hong Kong è una città viva, che ha un sentimento sul proprio destino, che lotta per non lasciarsi assorbire dentro il sistema cinese, che non sente come suo. Tanti osservatori, che scrivono nei giornali o parlano alla televisione degli eventi di questi giorni, non conoscono e non danno dignità alla specifica vocazione di Hong Kong.

Il sistema giuridico che governa Hong Kong è ancora valido. Il capo di Hong Kong – se ha il coraggio di esercitarla – ha ancora una buona dose di autonomia politica. Può fare delle scelte, in casi drammatici, persino indipendentemente dalla Cina. Certo, dovrà poi pagare un prezzo personale e politico altissimo. Carrie Lam non ha avuto questo coraggio.

Allontanando senza tante storie il predecessore di Carrie Lam, Pechino ha mostrato che non vuole a capo di Hong Kong un leader illiberale e inviso al popolo. Insomma, anche per l’astuto regime cinese, Hong Kong rimane un rompicapo difficile da interpretare e gestire. Gli eventi di questi giorni sono il primo altolà che il presidente Xi Jinping subisce nella sua strepitosa carriera politica, coronata finora solo da successi. Hong Kong rimane refrattaria ad ogni semplificazione e normalizzazione.

Protagonisti, nel corso della settimana, sono stati i giovani. Dopo l’amara sconfitta della rivoluzione degli ombrelli del 2014, il movimento degli studenti era stato persino umiliato mandando in carcere i giovani leader, nonostante le manifestazioni fossero state pacifiche. Per singolare coincidenza proprio oggi il giovanissimo Joshua Wong, il leader studentesco più in vista, è uscito dal carcere. C’è da aspettarsi che il suo prestigio cresca tra i giovani. Dal movimento del 4 maggio 1919, i giovani studenti esercitano un ruolo primario di guida e coscienza nazionale.

Merita infine di rimarcare il ruolo in prima fila esercitato dalle Chiese cristiane, inclusa quella cattolica. “Sing halleluiah to the Lord”, il canto religioso cantato sia nelle chiese protestanti sia in quelle cattoliche, è divenuto l’inno di fatto delle grandi manifestazioni dei giorni scorsi. Un ecumenismo ‘di strada’ molto significativo.

Tra i leader attualmente in prigione per aver dato il via alle manifestazioni del 2014 c’è anche l’anziano pastore battista Chu Yiu-ming, un leader buono, pacifico e amato. Chi scrive l’ha conosciuto bene, apprezzandone la nobiltà di fede, di sentimenti e comportamento in ogni circostanza.

La chiesa cattolica ha trovato nel francescano Joseph Ha, vescovo ausiliare, un leader capace di interpretare ed esprimere i sentimenti dei giovani e dei cattolici. L’omelia a sostegno dei giovani, pronunciata con grande emozione all’indomani degli incidenti del 12 giugno, è diventata virale. Joseph Ha, lungo tutta la notte, è stato con in giovani sulle strade, affermando che ‘il pastore sta dove sono le pecore’. Il popolo cattolico, oggi più che mai, vuole lui come nuovo vescovo di Hong Kong.