Manjhi, il politico dei «mangiatopi»

Manjhi, il politico dei «mangiatopi»

Nello Stato indiano del Bihar si batte per i diritti dei musahar, un gruppo poverissimo guardato dall’alto in basso persino dai fuoricasta

 

Difficile immaginare una realtà di emarginazione peggiore di quei gruppi di popolazione indiana comunemente noti come dalit. Ancor più perché questa discriminazione – radicata nella storia e nelle opportunità delle popolazioni che si son succedute sul suolo indiano – mantiene una forte base religiosa nel sistema indiano delle caste ma è stata sponsorizzata dai gruppi dominanti per i propri interessi. Si tratta dei cosiddetti “fuoricasta”, i livelli più bassi del sistema socio-religioso tradizionale dell’induismo a cui sono stati associati aborigeni, tribali e altre minoranze religiose. Un sistema che lega a una vita di dipendenza e di emarginazione almeno un terzo della popolazione indiana.

Lo sviluppo – paradossalmente – ne accentua il degrado, dato che ne utilizza la posizione di sudditanza per sfruttare ulteriormente queste fasce di popolazione a beneficio dei traguardi nazionali e dei gruppi più favoriti. Sicuramente di questi ultimi non fanno parte i 2,5 milioni di musahar, guardati dall’alto in basso persino dai fuoricasta che condividono con loro le aree ancestrali nel Bihar settentrionale, una delle regioni più depresse dell’intera India. Poveri e esclusi dallo sviluppo al punto da essersi guadagnati l’appellativo di “mangiatopi” perché costretti a cibarsi di questi roditori divenuti un elemento distintivo della loro condizione, anche se le loro abitudini alimentari in realtà vanno cambiando per un lieve ma graduale miglioramento delle condizioni esistenziali.

Per molti musahar – spiegano gli attivisti che cercano di migliorarne la condizione – il prossimo pasto o la lotta contro malattie altrove debellate come la lebbra sono tuttora una battaglia quotidiana. Raramente hanno accesso ai programmi governativi e in maggioranza sopravvivono come manovali e braccianti con l’equivalente di meno di un euro al giorno. Le iniziative di sostegno da parte del governo e delle ong sono assistenziali ma, soprattutto, educative.

La sfida vera è consentire ai giovani di questo gruppo un’istruzione adeguata e su questo ha puntato anche l’ex primo ministro dello Stato del Bihar, Jitan Ram Manjhi, primo musahar a raggiungere un’elevata posizione politica. Un’esperienza breve di governo, la sua, durata solo nove mesi dal maggio 2014 al febbraio 2015, ma giunta dopo diversi incarichi ministeriali e che è proseguita poi a livello parlamentare. Manjhi ha portato alla ribalta la realtà della sua comunità di appartenenza che – sostiene – «è talmente depressa che nemmeno le statistiche governative ne mostrano la reale consistenza, potrebbe arrivare fino a otto milioni di persone».

Un’esperienza che questo politico settantatreenne ha vissuto in prima persona: da bambino ha dovuto pascolare gli animali del ricco latifondista per cui lavoravano i suoi genitori «in condizioni che erano praticamente di schiavitù, con un chilo di cereali al giorno come compenso». Una situazione che ancora oggi, sottolinea Manjhi, “per tanti individui non è cambiata di molto”.