La cattedrale nel deserto che aspetta il Papa

La cattedrale nel deserto che aspetta il Papa

In Bahrain, dal 3 al 6 novembre, Francesco visiterà la chiesa inaugurata l’anno scorso e continuerà il cammino del dialogo con l’islam. Con uno sguardo al mondo sciita

C’è fermento tra i fedeli che al venerdì gremiscono il cortile della chiesa del Sacro Cuore, affacciata sulla trafficata avenue Isa Al Kabeer, nel cuore di Manama. L’imminente visita di Papa Francesco (dal 3 al 6 novembre), la prima di un Pontefice nel piccolo Paese-arcipelago del Golfo Persico, è al centro dei preparativi e delle conversazioni dei parrocchiani, che, come è la norma in questo angolo sorprendente della Chiesa universale, provengono da tante nazioni diverse: India e Filippine, Pakistan e Sri Lanka, Bangladesh e Medio Oriente. «È un evento che capita una volta nella vita per i cattolici del Regno e per tutto il Vicariato dell’Arabia settentrionale», racconta ad AsiaNews il parroco, indiano, padre Xavier Marian D’Souza. «Qualcosa che non avremmo mai immaginato, né sognato». E invece Papa Francesco, che nel 2019 fece la storia sbarcando negli Emirati Arabi e firmando, insieme al Grande imam di Al-Azhar Ahmed Al Tayyeb, il documento di Abu Dhabi sulla Fratellanza umana, ha deciso di tornare nel Golfo per abbracciare una comunità piccola quanto sfaccettata e proseguire il cammino di dialogo con l’islam a cui ha dedicato tante energie nel corso del suo Pontificato. Questa volta in un Paese che vede una maggioranza musulmana sciita, sebbene governato da una monarchia sunnita, quella della famiglia Al Khalifa.

Era stato proprio il re Hamad bin Isa Al Khalifa a invitare Francesco in Bahrain – «dove nel 1939 fu aperta la prima chiesa del Golfo», ricorda padre Xavier – e che oggi ospita la cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, inaugurata l’anno scorso su un terreno donato dal sovrano presso Awali, cittadina lambita dal deserto a pochi chilometri dalla capitale dove vivono molti dei lavoratori migranti impiegati nelle locali raffinerie di petrolio.
Gli espatriati costituiscono più della metà del milione e mezzo di abitanti e dall’estero viene la grande maggioranza dei cristiani, circa il 15% della popolazione, di tutte le confessioni: dai greco-ortodossi ai siriaci, dai cattolici latini ai copti, dagli anglicani ai siro-malabaresi. Eppure – caso raro in quest’area del mondo – nel Regno esiste anche un migliaio di fedeli bahrainiti: famiglie di origini irachene, giordane e di altre nazioni mediorientali stabilitesi qui nei primi decenni del Novecento.

Per tutti loro, così come per i circa 80 mila cattolici, la pratica della religione è garantita, sebbene nei confini delle parrocchie e senza offendere la sensibilità locale. Le campane, per intenderci, non suonano, mentre le croci non campeggiano in cima alle chiese, dove sarebbero considerate troppo “ostentate”. Il proselitismo, poi, è fuori discussione. Se la Costituzione vieta discriminazioni sulla base della fede, l’islam è comunque religione di Stato e la shari’a la principale fonte della legislazione.
La visita del Pontefice, che celebrerà la Messa nel Bahrain National Stadium e incontrerà i giovani e poi clero e operatori pastorali nel complesso del Sacro Cuore a Manama, rappresenta «un gesto forte per i cattolici, che dice loro che non sono dimenticati, a fronte di un sentimento di abbandono che a volte emerge nelle nostre comunità»: ne è convinto monsignor Paul Hinder, amministratore apostolico dell’Arabia settentrionale, che comprende anche Kuwait, Qatar e il chiusissimo Regno saudita. Il vescovo cappuccino, poi, inquadra il viaggio di Francesco nel solco di «un percorso che ha già toccato Abu Dhabi, il Marocco, l’Iraq e più di recente il Kazakhstan». Questa scelta mostra quanto «nella mente del Pontefice vi sia una strategia positiva di avvicinamento alle diverse correnti interne all’islam», per rilanciare «un dialogo con il vasto mondo musulmano».

L’occasione della visita è proprio la partecipazione del Papa, il 4 novembre, al Bahrain Forum for Dialogue, dedicato al tema “Oriente e Occidente per la coesistenza umana”. Francesco poi tornerà a incontrare il Grande imam di Al-Azhar e i membri del Muslim Council of Elders (il Consiglio musulmano degli Anziani) nella moschea del Sakhir Royal Palace. Si terrà invece nella cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, la più grande del Golfo Persico, la preghiera ecumenica per la pace.
Il Bahrain sta promuovendo una politica che esalta la tolleranza ed è l’altro Paese dell’area che, insieme agli Emirati, ha normalizzato le relazioni con Israele nel quadro degli Accordi di Abramo del 2020: l’anno scorso l’allora ministro degli Esteri Yair Lapid ha inaugurato l’ambasciata israeliana a Manama nel corso di una storica visita.

Eppure, nel Regno degli Al Khalifa incombono le ombre sul fronte dei diritti umani, in particolare quelli della comunità sciita. Una maggioranza (almeno il 60-70% della popolazione) che si sente discriminata e da tempo chiede cambiamenti costituzionali e diritti sociali ed economici. Nel 2011, sulla scia delle Primavere arabe, scoppiarono for­ti sommosse, schiacciate grazie al supporto delle truppe saudite, mentre negli ultimi anni le autorità hanno arrestato attivisti e leader religiosi sciiti e dissolto Al-Wefaq, principale gruppo sciita di opposizione, con l’accusa di “terrorismo, estremismo” e legami con l’Iran. Come dappertutto nella regione, l’autoritarismo resiste nella piccola Monarchia circondata dalle acque agitate del Golfo Persico.


Il viaggio

Tra le tappe del viaggio di Francesco in Bahrain la visita al re (il 3 novembre), l’in­­­ter­vento al Bahrain Forum for Dialogue, l’incontro con il Grande imam di Al Azhar e la preghiera ecumenica per la pace (il 4), la Messa al National Stadium e l’incontro con i giovani (il 5), il discorso al clero (domenica 6).