Piccoli schiavi

Piccoli schiavi

La piaga del traffico e dello sfruttamento dei minori colpisce milioni di bambini e bambine in tutto il mondo. E non fa che aumentare. Oggi rappresentano circa il 30 per cento delle vittime

 

Quello del traffico e dello sfruttamento dei minori è un dramma nel dramma della tratta globale di esseri umani. Le agenzie Onu riscontrano un aumento del numero di bambini e adolescenti (maschi e femmine) che ne sono vittime.

In alcune zone dell’Africa e del Medio Oriente, così come in Paesi come l’India, l’Egitto, l’Angola o il Perù, i minori rappresentano oltre il 60 per cento dei casi complessivi. In quest’ultimo Paese, secondo la prima inchiesta nazionale sul lavoro minorile del 2010, ci sarebbero 3,3 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni, costretti a lavorare in vari settori, dalle miniere ai campi, dai commerci alle abitazioni. Nel periodo 2003-2006, i bambini e gli adolescenti rappresentavano il 20% delle vittime conosciute di traffico di esseri umani nel mondo. Oggi sono almeno il 30%. In Europa e in Asia centrale, lo sfruttamento sessuale è la principale finalità per cui vengono venduti e comprati minori. Riguarda i due terzi di coloro che sono stati trafficati. Mentre nel resto dell’Asia l’utilizzo per lavori forzati è la finalità di gran lunga maggioritaria. Esistono poi altre forme di traffico, in cui sono particolarmente colpiti i minori, come il reclutamento di bambini-soldato in Africa (e non solo), la microcriminalità, i matrimoni precoci e l’accattonaggio forzato.

L’avvento di Isis sullo scenario mediorientale ha aggiunto nuove e ancora più drammatiche forme di traffico e di riduzione in schiavitù, che possono riguardare sia i minori che le donne. Il traffico di esseri umani, in questa regione come pure in Libia, rappresenta inoltre una forma di finanziamento dei terroristi islamici.

Il lavoro forzato coinvolge un numero elevatissimo di bambini. I dati forniti dall’ Organizzazione Internazionale del lavoro (Oil), in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2015, sono impressionanti. Nel mondo, almeno 5 milioni di bambini vivono e lavorano in condizioni di vera e propria schiavitù e pratiche simili. E più di 168 milioni di minori sono costretti a lavorare: di questi, 120 milioni hanno tra i 5 e i 14 anni. Circa 85 milioni sono impiegati in contesti molto rischiosi, in miniera o nelle fabbriche, spesso in condizioni di estremo pericolo e sfruttamento; un terzo circa sono bambine e ragazze, sfruttate soprattutto nelle abitazioni, con orari lunghissimi, utilizzo di prodotti tossici o di oggetti pericolosi e trasporto di carichi pesanti, spesso picchiate, poco nutrite e talvolta abusate sessualmente.

L’agricoltura è il settore con la più alta presenza di minori – 98 milioni (maschi e femmine) -, ma bambini e adolescenti sono coinvolti anche in attività domestiche, pesca, piccoli commerci, accattonaggio, piccole aziende familiari, nei mercati o nelle miniere. Moltissimi altri sono impiegati nelle fabbriche o nella ristorazione. Migliaia, inoltre, vengono arruolati come bambini-soldato, costretti a chiedere l’elemosina o implicati nel traffico di droga (oltre che per lo sfruttamento sessuale).

Anche nel caso del lavoro minorile, esistono Convenzioni Onu ampiamente condivise, ma non adeguatamente applicate. Sono 179 i Paesi che hanno ratificato la Convenzione dell’Oil contro le forme peggiori di lavoro minorile del 1999 e 166 quelli che hanno ratificato la Minimum Age Convention del 1973. Questo testimonia, da un lato, la consapevolezza degli Stati circa il fenomeno e la necessità di lavorare insieme tra governi, sindacati e società civile per ridurre il numero di bambini costretti a lavorare. D’altro canto, fa notare la stessa Oil, «il lavoro minorile resta un problema globale, presente sia nel Nord che nel Sud del mondo. L’Asia meridionale e il Pacifico presentano il più gran numero di bambini lavoratori (78 milioni), ma questa regione che sta facendo i progressi più significativi. Anche l’America Latina ha fatto passi da gigante, ma il processo si è rallentato, mentre l’Africa subsahariana ha la più alta incidenza (più del 21%, con 59 milioni di bambini coinvolti) e deve affrontare alcune delle sfide più grandi».

Certo, combattere la piaga del lavoro minorile non è facile. Chiama in causa diversi fattori e una varietà complessa di azioni. Che vanno dal garantire un lavoro dignitoso agli adulti al miglioramento della qualità dell’istruzione e della protezione sociale per tutti; da un maggior monitoraggio delle condizioni dei luoghi e delle condizioni di lavoro a un ruolo più attivo ed efficace di negoziazione dei sindacati; dall’implementare politiche economiche che escludano categoricamente il lavoro minorile alla lotta contro la povertà e la diseguaglianza. Ovvero iniziative da cui trarrebbero vantaggio tutti i lavoratori, adulti compresi, e che potrebbero creare condizioni di vita migliori per tutti.

In occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2015, anche Papa Francesco ha ricordato «i tanti bambini nel mondo che non hanno la libertà di giocare, di andare a scuola, e finiscono per essere sfruttati come manodopera. Auspico l’impegno sollecito e costante della comunità internazionale per la promozione del riconoscimento fattivo dei diritti dell’infanzia».

La situazione è particolarmente drammatica in Africa subsahariana. Il fenomeno continua a essere diffuso su quella che ancora oggi è ricordata come la “costa degli schiavi”, ovvero quel lungo tratto di litorale dell’Africa occidentale, da cui partivano le navi negriere verso le Americhe. In questa stessa regione, oggi il traffico degli schiavi avviene all’interno dei Paesi o tra Paesi limitrofi. Sono migliaia, soprattutto i bambini, che vengono comprati per pochi euro alle famiglie e consegnati ai nuovi “padroni” per essere impiegati nei lavori domestici o in altre attività: piantagioni, pesca, piccoli commerci, accattonaggio forzato, ma anche prostituzione.

Difficile avere stime precise. Secondo fonti locali, in Benin ci sarebbero 400 mila bambini lavoratori; in Costa d’Avorio sono circa 600 mila, molti dei quali impiegati nelle piantagioni di caffè o cacao; in Nigeria, il lavoro forzato minorile coinvolge 12 milioni di minori. Nel maggio del 2015, il caso di 28 bambini avvelenati in una miniera di questo Paese ha portato alla ribalta una forma di sfruttamento spesso taciuta: l’utilizzo di bambini per lavori molto pericolosi. La maggioranza non ha avuto accesso all’istruzione. In tutti i Paesi a basso reddito, circa il 20-30% dei minori lascia la scuola e inizia a lavorare prima dei 15 anni. Istruzione limitata e lavoro minorile contribuiscono ad aumentare la vulnerabilità di questi ragazzi e ragazze. MM