La lezione contagiosa delle Chiese di frontiera

La Chiesa italiana ha tanto da imparare dalle missioni sparse in giro per il mondo, soprattutto da quei luoghi di frontiera dove vengono a collidere mondi diversi apparentemente opposti.

Il lavoro dei missionari e ciò che leggiamo su Mondo e Missione fanno emergere una Chiesa dai mille volti, preoccupata solo di far vedere il viso del Risorto adattandosi alle varie realtà che incontra. Padre Damiano Tina a Ecatepec in Messico ci racconta di una Chiesa che non riesce a stare in sacrestia, ma si sente costantemente chiamata fuori, a uscire nelle strade, per quanto pericolose siano, mentre dal Golfo Persico abbiamo notizia di una Chiesa fatta di giovani migranti che danno vita a una comunità aperta all’incontro tout court. Chiese di frontiera, di minoranza ma vive e soprattutto desiderose di incontrare, senza paura della diversità. Si parla di cristiani, non solo di missionari “di professione”, che dedicano energie e tempo per annunciare il Vangelo nei modi più diversi e quotidiani.


I giovani cristiani del Golfo Persico che durante il Ramadan offrono il pasto
della rottura serale del digiuno ai musulmani poveri sono un fatto dirompente, un gesto di carità che ci fa dire: «E noi?».

L’immagine di padre Damiano che percorre i bordi della ferrovia su cui passa la “Bestia”, il treno che valica il confine tra Messico e Stati Uniti, e con la stola addosso, assieme a un manipolo di parrocchiane, parla di Gesù a persone sedute su sedie che si sono portate dalla loro baracca, ci scuote e ci lascia disarmati. Ma annunciare il Vangelo è una cosa così semplice? Sì, lo è! L’annuncio è così: è disarmato, è diretto, è fatto di incontri normali, di mani che si stringono, di persone che pregano e cantano proprio là dove sono, di ascolto gratuito e attento alle sofferenze e alle gioie di chi ti sta di fronte, di un gesto di carità umile.

Questo modo di vivere il cristianesimo diventa contagioso, l’amico chiama l’amico, la madre e la nonna portano figli e nipoti perché hanno incontrato qualcuno che fa loro vedere, incontrare Gesù. Non serve altro.

E le nostre Chiese antiche in Europa, la nostra Chiesa italiana che sembra spesso stanca e affannata, forse anche un po’ malata di orgoglio? Da dove ripartire, ritrovare slancio? Padre Damiano ci provoca: «In Italia dovreste avere più coraggio, essere disposti a perdere qualcosa per guadagnare ciò che è più prezioso e importante. Lasciare il certo per l’incerto è la logica del Vangelo».

Quando ero un giovanissimo parroco a Phnom Penh, senza un sacerdote più maturo a cui riferirmi, ho iniziato a tentare un approccio liturgico e di animazione domenicale in una realtà che non aveva mai avuto nemmeno la Messa regolare. Spesso, però, ero preso dai dubbi: starò facendo la cosa giusta? Un giorno, mentre stavo preparando la chiesetta per l’adorazione eucaristica e avevo quella domanda che mi girava nella testa, squillò il telefono: era don Carlo, il prete dell’oratorio della mia giovinezza. «Ciao Mario, come stai?». «Don Carlo, sono sommerso dai dubbi!». Poche parole e poi lui disse: «Mario, non ti devi preoccupare di nulla, noi preti facciamo un sacco di progetti e programmi pastorali, non servono a nulla. Tu fidati di Lui, il programma lo fa Lui. Fidati e vedrai che tutto funzionerà al meglio». Mi sono fidato. Don Carlo aveva ragione.